E' paradossale come il Record Store Day- creato nel 2007 per tentare di rivitalizzare un'industria in crisi e per offrire, almeno nelle intenzioni, maggior supporto a un commercio già all'epoca in via d'estinzione (i negozi di dischi indipendenti) -abbia finito col tradire ogni sua aspettativa, divenendo solo l'ennesima montatura mediatica destinata a un pubblico di nostalgici. La lista delle uscite è barzellettistica, i prezzi sono offensivi. Ogni tentativo di aggirare anche l'appassionato più serio obbligandolo ad acquistare un formato che di norma neanche rientrerebbe fra i suoi desideri è risolto da una precisa filosofia di vendita: <<Vuoi la rarità del tuo gruppo del cuore? Bene, la prendi in vinile, limited edition e al prezzo che dico io>>. Nel frattempo, negli USA ha chiuso l'ultima fabbrica dove si producevano cd, per ogni negozio indipendente aperto (mi viene in mente Vinyl Room, una realtà "fighetta" appena inaugurata in pieno centro a Roma dai figli di De Gregori) ce ne sono dieci ad abbassare la saracinesca per sempre, e la riflessione sui meccanismi del consumo della musica odierni non è mai stata così prossima allo zero. Sembra superato, ormai, perfino il dibattito attorno alle diversità "relazionali" che intercorrono fra ascoltatore e musica, sia quando quest'ultima è veicolata da qualsiasi forma di supporto materiale, sia quando questa passa attraverso un computer o uno smartphone divenendo- per usare un termine caro a Bauman -"liquida".
Ormai la colossale distribuzione online fa parlare di sè solo quando esce fuori l'ennesima pagina di cronaca che racconta dell'operaio di uno stabilimento x è costretto a urinare in una bottiglietta di plastica per non interrompere il flusso dei tempi record e dei costi ridotti. Seguono indignazione e sgomento generici, poi si torna a comprare quanto e più di prima, mentre viene fatta passare l'informazione (errata) secondo cui, tanto per fare un esempio, Amazon e il Record Store Day nel 2018 possano convivere placidamente. Bene, non siamo mai stati così tanto lontani dalla verità: come succede nei più barbari modelli di società, Amazon ha metaforicamente comprato il Record Store Day, ribadendo, di fatto, la superiorità ormai incontrollata della grettezza sulla cultura, dell'egoismo sulla socialità, del commercio virtuale su quello fisico. In effetti, all'inizio, lo chiamavano e-commerce: una realtà aliena, roba che sembrava adattarsi bene alle sterminate periferie americane, ma non al mio paesello. La rete globale avrebbe cambiato le cose. Anche io iniziai a fare sporadici acquisti in contrassegno laddove eBay lo permetteva: perlopiù si trattava di oggetti sparpagliati per lo Stivale ma che non erano di certo nè facilmente reperibili nè a portata di mano. Dischi rari, libri di cui si avevo solo sentito parlare, fumetti mai approdati in edicola e fuori dai cataloghi delle fumetterie. In qualche modo, questa rarità costituiva un valore aggiunto per questi oggetti. Trovarsi in un'altra città- non necessariamente New York o Roma, a me bastava pure Firenze -significava la possibilità di accesso a un maggior numero di negozi locali in cui poter frugare fra riviste, libri, dischi, rendendo il tutto più divertente.
La temibile globalizzazione, con le sue rassicuranti strade commerciali tutte identiche, da Poggibonsi a Buenos Aires, aveva già iniziato a mietere vittime, e il web iniziava a dimostrarsi l'arma preferenziale di questa nuova, moderna incarnazione del libero mercato. Di Amazon parlò anche la farlocca e finto-alternativa trasmissione Report, che all'impero commerciale di Seattle dedicò un accurato servizio in cui Jeff Bezos veniva definito come un genio del bene e la sua creatura prediletta uno strumento rivoluzionario ed ecologico (e, diciamolo, certa sinistra liberal 2.0 è ormai avvezza a chiudere gli occhi di fronte ai soprusi sulla classe operaia, ma quando c'è di mezzo l'ecologia è sempre pronta a regalare il culo a qualsiasi guru del momento). La conduttrice chiosava auspicando la prossima apertura di una simile realtà anche nella paralitica Italia bottegaia, e in effetti, di lì a poco, le sue speranze si sarebbero concretizzate (oggi, ovviamente, Report non manca di dedicare i suoi servizi "d'assalto" alle ingiustizie perpetrate da Amazon ai danni dei dipendenti nei suoi magazzini). Dopo che mezzo paese si era registrato su Amazon UK, il tricolore iniziò a svettare anche nella homepage del sito e di lì a poco Amazon.it prese forma: i prezzi erano molto bassi, le spese di spedizione azzerate, le consegne veloci. Ai più sembrava di aver trovato il Sacro Graal, ma, come si sarebbe scoperto poco dopo, c'era un prezzo da pagare. C'era la libreria abbandonata e il rivenditore di dischi tradito: negozietti che avevano ospitato fino a quel momento appassionati di questa e quella materia andavano chiusi, lasciando sopravvivere solo le grandi catene, tutte uguali, tutte svuotate della loro umanità. Le problematiche- tanto gravi quanto facenti parte del gioco -della distribuzione, dei corrieri, di una concorrenza sempre proiettata su chi andava a guidare quei camioncini di vari colori e dimensioni (un argomento che non affronterò in questa sede, ma che esiste e può portare a conseguenze nefaste).
Oltre a questi effetti collaterali (imprevisti per noi consumatori, ampiamente pianificati dalle sovranità del Capitale), a me non sembra che sia rimasto molto da cercare. Il mondo è diventato più piccolo, ma assai meno interessante, e io continuo a non avere un account su Amazon. Credo di averci comprato (tramite Sofi, che è pure cliente prime) non più di due volte e di non averci mai trovato nulla (contrariamente a eBay, IBS, Libraccio.it, ecc.). Da tre anni e mezzo posseggo un Kindle su cui ho accumulato cinque ebook (tre originali regolarmente acquistati e due .pdf scaricati illegalmente). Vedo queste cose come una magia nera non facile da gestire e i cui utenti dovrebbero darsi delle regole che puntualmente non si danno. Non vedo il bisogno di comprare i libri di carta su Amazon quando nel centro del paese hai un libraio di fiducia con cui fare due parole e che, se non ha in negozio quello che cerchi, può ordinarti il 98% dello scibile umano e fartelo avere in pochi giorni. Per i dischi poi faccio il contrario dell'utente medio: invece di cercarli e ascoltarli (e farli ascoltare anche agli sfortunati avventori) in negozio, cerco le anteprime online (non ascolto la radio), controllo disponibilità e date di uscita su Amazon (il loro catalogo globale, con tanto di recensioni e consigli, è molto ben fatto e comodissimo per la consultazione) e infine li compro al negozio. Non penso di acquistare "feticci" o di venerare totem fuori dal tempo, e neanche sono concorde con quelle teorie secondo cui la musica nell'era del web 2.0 si sia liberata del contenitore e scorra eterea tutto intorno a noi. La musica è qualcosa di troppo nobile, importante e intimo per essere relegata all'esclusiva fruizione in streaming. Come Amazon non mi convince in quanto lettore di libri, Spotify non mi gratifica affatto come ascoltatore: la musica liquida è un frutto prefabbricato del marketing, quella fisica (e con essa i negozi di dischi e la loro umanità variegata) somiglia maggiormente a un prodotto dotato di anima e per questo la preferisco.
I dischi non vendono più, è vero, e se vendono, vendono sotto forma di quei costosi vinili per collezionisti di cui parlavo all'inizio del post (e il collezionismo, essendo un hobby non necessariamente finalizzato all'ascolto, non fa per niente rock). Non mi considero un tipo da centro commerciale, e potessi permettermelo eviterei di comprare da mangiare perfino al supermercato. Per la tecnologia è un po' più complicato: negozi non ce ne sono praticamente più, e persino i grandi distributori come Trony chiudono (il che, non avendo mai fornito alcun valore aggiunto alla rete di vendita, non dovrebbe destare stupore). E per quanto il mondo del hi-fi possa essere cambiato diventando- in maniera direttamente proporzionale al successo dello streaming e al conseguente svilimento della qualità del suono -un microcosmo accessibile solo ai carbonari, i negozi di elettronica specializzati, di strumenti musicali e di impiantistica audio-video stanno gradualmente scomparendo e con loro, spesso, se ne va un personale competente e prezioso. Non traggo alcun giovamento dal fare tendenza e sono fiero di vedere il baricentro del mondo nell'essere umano e non nel business. A lungo, approdare in una città diversa dalla mia (da Cecina a Parigi, intendo), per me ha significato cercare il miglior negozio di musica, passarlo al setaccio, comprare un disco (ma quasi sempre, complici i pretesti più disparati, ho finito col comprarne più di uno) e, una volta tornato a casa, farlo risuonare come la più vitale delle testimonianze di un viaggio, un'esperienza, un ricordo. Finora, tutto questo non mi è stato tolto da niente e da nessuno. Però, ecco: le prospettive nell'immediato futuro non è che siano delle migliori.
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