Domenica di Pasqua. Della resurrezione mi è sempre importato un bene amato, ma il periodo pasquale per me- che amo rivendicare le radici pagane di tutte le festività -è sinonimo di rinascita e speranza. Le ore di buio vengono superate da quelle di luce, complice anche la temuta ora legale. Non è questo il luogo per stilare una compilation delle stagioni, ma con ogni probabilità la primavera è quella più desiderata (e, ineluttabilmente, più rimpianta) per ognuno di noi, e il bello è che ritorna ogni anno: esattamente come alla notte segue sempre un'alba, o come a questa vita- chissà -ne seguirà un'altra.
Domenica di Pasqua. Mi immagino di dover fare un ragionamento minimamente logico-razionale con chi, quarantotto ore fa, si è nutrito di baccalà col preciso scopo di compiacere il creatore dell'universo e mi metto a ridere. Ascolto gli auguri, li ricevo, penso a quanti ne ho fatti anche io la scorsa settimana a lavoro e basisco. Lo so, è sbagliato pensare queste cose: si passa da maleducati, da irrispettosi, da guastafeste, eppure non ce la faccio a esimermi dal pensarle. In questo momento, mi trovo a Cetona, in piazza Garibaldi, una piazza splendida, sempre piena di gente e di sole. Io e Sofi stiamo aspettando il resto della sua famiglia per andare a pranzo e nell'attesa consumiamo un aperitivo in piedi: spritz per lei, Campari con una spruzzata di vino bianco per me. Non c'è mezza mattonella libera, ogni sedia è già stata occupata precedentemente e i camerieri hanno parecchio lavoro da portare avanti. La volgarità, complice una ricorrenza vetusta e comandata come quella pasquale, è tangibile metro dopo metro: uomini e donne bolsi e costretti in vestiti ridicoli come i costumi di una strip di Flash Gordon si baciano, si sorridono, si sfottono, urlano, bevono, sgranocchiano. I bimbi più piccoli vengono subito dotati di smartphones per essere ridotti a un'inquietante forma di silenzio preventivo, mentre ragazzi e ragazze ormai adolescenti si squadrano con un certo distacco. Il messaggio va di pari passo col pensiero unico (e inequivocabile): la gente che sta bene- o che almeno dà una vaga parvenza di starci -è qui, e il resto del mondo può anche esplodere, in questo santo giorno. I ricchi non crepano mai, gli stronzi tanto meno. Alla luce di questa profondissima analisi, vado strutturando una teoria secondo la quale uno stronzo e pure ricco può ambire senza problemi all'immortalità. Le campane della chiesa rintoccano una sola volta. Una madre vestita uguale alla propria figlia immortala due Bellini lasciando, in secondo piano, una coppia di borse griffate. Se fotografare aperitivi per scaraventarli su Instagram è arte, mi domando perchè fare lo stesso ad un bicchiere d'acqua possa sembrare stupido. Per fortuna il resto della comitiva arriva a distrarmi. Scendiamo lungo una discesa bella ripida e arriviamo all'osteria del Merlo. Pochi coperti, bell'ambiente ricavato in una torre medievale, menù a rotazione (quello di oggi è il 78esimo da quando la gestione del ristorante è passata in nuove mani) ma molto incentrato sul pesce. La cantina- ci spiegano -è molto più curata rispetto al passato perchè i proprietari non appena hanno un po' di tempo libero, se ne vanno in giro a scoprire vini e comprare bottiglie. Ne consegue una scelta variegatissima e per niente banale, specie considerando che, per quanto al confine, siamo sempre nella Toscana delle lobbies viticole. Scatto una foto-ricordo di questa pasqua nella quale cerco di far convergere due miei grandi amori:
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