Brunori Sas,
A casa tutto bene
(Picicca Dischi, 2017)
★
Dario Brunori, trentanove anni, calabrese, sotto le spoglie di Brunori Sas aveva infilato un paio di discreti pezzi con il suo secondo album, Poveri cristi, nel 2011. Lei, lui, Firenze e Una domenica notte mi avevano convinto. Certo, cantate come le canterebbe un emulo scadente di Francesco de Gregori, ma comunque ben confezionate e costruite su di una buona metrica. Il resto del disco non era niente di che, ma meritava un ascolto.
Da allora sono passati sei anni e Brunori ne ha fatta di strada, ma soprattutto ne ha prodotta di musica di merda! Vol. 3: Il cammino di Santiago in taxi viene a noia già dal titolo e Kurt Cobain sarebbe stato un singolo indegno perfino di venir presentato ad X-Factor (nella squadra di Arisa, toh!). In più ho avuto la sventura di vederlo pure promuovere questo disco, nel giugno 2014, a Staggia, occasione in cui- forse ricordo male -vollero pure dei soldi per il biglietto.
La cosa che fa un certo effetto del nuovo A casa tutto bene (Picicca Dischi, ) non è solo che il singolo di lancio, Canzone contro la paura, è un para-plagio orribile di Com'è profondo il mare (aspetto che gli ascoltatori più preparati e colti avranno sicuramente notato), ma il fatto che non dica nulla. Alla fine è un album pop composto di canzonette, ovvero testi e melodie, roba a cui siamo abituati da sessant'anni, eppure niente: è vuoto. E questo vuoto verrà portato a giro non per le sale da concerto, per i teatri, per i club o i bar. No.
A casa tutto bene è un disco cool, non un capolavoro, ma un disco che si cucca voti alti (e sempre, rigorosamente senza motivi apparenti) e per questo motivo il tour dovrà svolgersi negli atenei. Il primo, manco a dirlo, è quello senese, visto che Darione ha svolto qua i suoi studi in economia e commercio prima di scoprirsi cantautore. A lui non sembra vero di tornare nelle aule e di parlare agli studenti. Tutti vogliono parlare agli studenti. Deve sentirsi un po' come quando Leonard Cohen suonò alla Sapienza occupata, solo con meno cocaina nel sangue.
E comunque, vuoi per lui, vuoi per la musica, vuoi per i tizi del pubblico (un gregge del tutto paradigmatico) il video qua sotto è roba degna di Zelig:
A casa tutto bene
(Picicca Dischi, 2017)
★
Dario Brunori, trentanove anni, calabrese, sotto le spoglie di Brunori Sas aveva infilato un paio di discreti pezzi con il suo secondo album, Poveri cristi, nel 2011. Lei, lui, Firenze e Una domenica notte mi avevano convinto. Certo, cantate come le canterebbe un emulo scadente di Francesco de Gregori, ma comunque ben confezionate e costruite su di una buona metrica. Il resto del disco non era niente di che, ma meritava un ascolto.
Da allora sono passati sei anni e Brunori ne ha fatta di strada, ma soprattutto ne ha prodotta di musica di merda! Vol. 3: Il cammino di Santiago in taxi viene a noia già dal titolo e Kurt Cobain sarebbe stato un singolo indegno perfino di venir presentato ad X-Factor (nella squadra di Arisa, toh!). In più ho avuto la sventura di vederlo pure promuovere questo disco, nel giugno 2014, a Staggia, occasione in cui- forse ricordo male -vollero pure dei soldi per il biglietto.
La cosa che fa un certo effetto del nuovo A casa tutto bene (Picicca Dischi, ) non è solo che il singolo di lancio, Canzone contro la paura, è un para-plagio orribile di Com'è profondo il mare (aspetto che gli ascoltatori più preparati e colti avranno sicuramente notato), ma il fatto che non dica nulla. Alla fine è un album pop composto di canzonette, ovvero testi e melodie, roba a cui siamo abituati da sessant'anni, eppure niente: è vuoto. E questo vuoto verrà portato a giro non per le sale da concerto, per i teatri, per i club o i bar. No.
A casa tutto bene è un disco cool, non un capolavoro, ma un disco che si cucca voti alti (e sempre, rigorosamente senza motivi apparenti) e per questo motivo il tour dovrà svolgersi negli atenei. Il primo, manco a dirlo, è quello senese, visto che Darione ha svolto qua i suoi studi in economia e commercio prima di scoprirsi cantautore. A lui non sembra vero di tornare nelle aule e di parlare agli studenti. Tutti vogliono parlare agli studenti. Deve sentirsi un po' come quando Leonard Cohen suonò alla Sapienza occupata, solo con meno cocaina nel sangue.
E comunque, vuoi per lui, vuoi per la musica, vuoi per i tizi del pubblico (un gregge del tutto paradigmatico) il video qua sotto è roba degna di Zelig:
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