Traveller
(Mercury Records, 2015)
★★★★★
Essenzialmente, scrivo di ciò che mi emoziona e Traveller, album di debutto di Chris Stapleton, mi ha molto emozionato.
Per una volta, devo ringraziare una delle poche radio ancora ascoltabili del nostro paese, e cioè Radio 3: nonostante tutto, da lì è passata la canzone che dà il titolo al disco, e il fatto poi che una nota rivista di musica italiana (la migliore, nonchè l'unico magazine mensile di cui mi concedo l'acquisto) abbia messo questo giovane cantautore del Kentucky sulla copertina del suo numero di giugno è stato solo un surplus. Di fatti, avevo già ordinato Traveller e ne avevo già ascoltato i singoli in rete.
Grande voce, grande musica, grandi canzoni. Un esordio che descrive un territorio dello spirito e dell'immaginazione che geograficamente sconfina nei grandi spazi dell'outback americano. Storie di viaggi e incontri, poesie di amore dedicate alla moglie Morgane (presente, come voce, in una buona fetta dell'album), due grandi covers (Tennessee Whiskey e Was It, entrambe superiori alle originali).
Stapleton nasce essenzialmente come author, un paroliere che per una decina di anni ha firmato grandi liriche delle stelle country and western di mezzi Stati Uniti, ma Traveller dimostra quanto questi sappia essere molto di più. Fiancheggiato dal produttore Dave Cobb, dà vita ad un immaginario dove converge un'ampia gamma di sensazioni, profumi e suoni. La mitologia del confine non si tramuta mai in pura retorica, mescolata com'è allo swamp rock, al country di Nashville (luogo dove l'album è stato registrato) e, in generale, all'universo roots. L'abilità di scrittore viene pareggiata da una voce magnifica, che canta di strade deserte, paesaggi assolati e serenate sotto la luna. Intorno a Stapleton, suona una band con mandolini, chitarre acustiche, pedal steel, percussioni e armonica, oltre all'organo di Mike Webb, pure chiamato a dare ulteriore colore alle strade e alle storie di un romantico border americano.
Per una volta, devo ringraziare una delle poche radio ancora ascoltabili del nostro paese, e cioè Radio 3: nonostante tutto, da lì è passata la canzone che dà il titolo al disco, e il fatto poi che una nota rivista di musica italiana (la migliore, nonchè l'unico magazine mensile di cui mi concedo l'acquisto) abbia messo questo giovane cantautore del Kentucky sulla copertina del suo numero di giugno è stato solo un surplus. Di fatti, avevo già ordinato Traveller e ne avevo già ascoltato i singoli in rete.
Grande voce, grande musica, grandi canzoni. Un esordio che descrive un territorio dello spirito e dell'immaginazione che geograficamente sconfina nei grandi spazi dell'outback americano. Storie di viaggi e incontri, poesie di amore dedicate alla moglie Morgane (presente, come voce, in una buona fetta dell'album), due grandi covers (Tennessee Whiskey e Was It, entrambe superiori alle originali).
Stapleton nasce essenzialmente come author, un paroliere che per una decina di anni ha firmato grandi liriche delle stelle country and western di mezzi Stati Uniti, ma Traveller dimostra quanto questi sappia essere molto di più. Fiancheggiato dal produttore Dave Cobb, dà vita ad un immaginario dove converge un'ampia gamma di sensazioni, profumi e suoni. La mitologia del confine non si tramuta mai in pura retorica, mescolata com'è allo swamp rock, al country di Nashville (luogo dove l'album è stato registrato) e, in generale, all'universo roots. L'abilità di scrittore viene pareggiata da una voce magnifica, che canta di strade deserte, paesaggi assolati e serenate sotto la luna. Intorno a Stapleton, suona una band con mandolini, chitarre acustiche, pedal steel, percussioni e armonica, oltre all'organo di Mike Webb, pure chiamato a dare ulteriore colore alle strade e alle storie di un romantico border americano.
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