giovedì 27 novembre 2014

Kynesis, "Kali Yuga" [Suggestioni uditive]

Kynesis,
Kali Yuga
(Red Sound Records, 2014)

★★★★
















Se le band italiane "storiche" possono avere rappresentato uno dei versanti di sviluppo metallaro più fecondi degli ultimi vent'anni, è altrettanto vero che la scena nostrana risulta spesso avida di esordi d'eccellenza. Ma è inutile cadere nei luoghi comuni e generalizzare, specie se ci si imbatte in Kali Yuga, album d'esordio dei torinesi Kynesis uscito lo scorso 10 novembre per la Red Sound Records. 
Prodotto nord-italico di squisita fattura e pregevolmente autoprodotto, sembra uscire da quella grande scuola che vedrebbe riuniti, in sala insegnanti,  i migliori Tiamat e i migliori Moonspell, dimentichi di certi cocenti fallimenti e intenti piuttosto a leggersi libroni di mitologia induista (il Kali Yuga è un'era oscura in cui il genere umano sembra smarrire il contatto con la natura). Ma nonostante fiocchino i rimandi, le citazioni colte e una volontà testuale di un certo impegno, i Kynesis non vengono mai meno alla priorità assoluta: regalare al pubblico un grande album post-metal con venature doom ed elettroniche sparpagliate qua e là e mai affidate al caso. L'alchimia con le sonorità black sottende un'abilità rara (l'intro Enter The Dark Age e la successiva, spettacolare I, Iconoclast ne sono la dimostrazione), così come già dal terzo brano, Gods From Ancient Skies, risulta essere rilevante il lavoro di tastiere ed effettistica. Ma ciò che finisce col sorprendere veramente è l'eterogeneità delle atmosfere che i Kynesis costruiscono pezzo dopo pezzo. In questo senso, Karma è un gioiello assoluto, una perla strumentale dove influenze ambient, echi stellari e fraseggi semiacustici si mescolano con totale armonia. Le lunghe Redrum e Ex-Statis pagano forse un po' il debito alle pagine più black della storia del Metallo Pesante, pur rielaborandone a dovere gli spunti vincenti. I chiaroscuri della breve Chakra sono a dir poco intriganti, mentre la successiva Pancosmic Being ci conduce verso la fine del disco senza un cedimento o un'incertezza: Monad è una closing-track come non se ne trovano più. Riff assassino, stacchi ritmici che si alternano a una furia e una violenza degna dei migliori Meshuggah, il tutto per il primo minuto e mezzo. Da lì, si dirama una lunga coda fatta di suggestioni elettroniche e industrial, complessa, cervellotica, ma con le idee chiare su come portare a termine l'intera opera: e cioè senza la benchè minima sbavatura. 
Raramente una band di esordienti- a prescindere dalla provenienza geografica -riesce a non rinchiudersi in uno stereotipo sonoro, osando e orientandosi verso soluzioni disparate e originali. A questo quintetto torinese la magia è riuscita e Kali Yuga lo dimostra. Chiedere di più ai Kynesis sarebbe, oltre che esagerato, tremendamente irrispettoso: tuttavia, non è escluso che in futuro possano tornare a far parlare di sè con un lavoro addirittura superiore a questo estremo, innovativo e sconvolgente esordio. 

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