Sonic Highways (RCA, 2014)
★★
Ai fans iniziavano a mancare, mentre chi non li sopporta è già corso ai ripari: perchè i Foo Fighters sono tornati. Sorridenti, spiritosi, abbronzati e pieni di idee folli, irriverenti e costruite ad hoc per garantire un buon successo di critica e un grande consenso del pubblico. I nostri amici sono di nuovo a giro a suonare quello che i biografi definiscono post-grunge, ma si sa che i biografi scrivono tante cazzate e che l'ombra di quel grande genere ha abbandonato Dave Grohl e soci già dopo il secondo album, nel lontano 1997. Questo non ha di certo impedito alla band di togliersi molte soddisfazioni: basti pensare all'onestissimo rock alternativo di There Is Nothing Left To Lose (1999), al mega-successo di One By One (2002), alle morbide sonorità acustiche del doppio soporifero In Your Honor (2005), alle grandiose canzoni hard rock di Echoes, Silence, Patience And Grace (2007), che per chi scrive è stato forse il loro album migliore dopo l'omonimo debutto del 1995. A margine, trovano spazio grandi singoloni radiofonici, EP da dimenticare, live vuoti e autocelebrativi, serate unplugged inutilmente ricoperte di pasta zucchero, collaborazioni prestigiosissime e una passione rara e difficilmente rintracciabile in altri artisti del mainstream rock al momento.
Ma non sempre la passione può bastare, e il nuovo Sonic Highways lo dimostra, così come ribadisce un concetto ben più importante: a volte è necessario scindere le cose. Ad esempio, se da una parte abbiamo la straordinaria serie docu-televisiva Sonic Highways prodotta da Grohl per HBO (cinque delle otto puntate sono già in rete con i bramati "sub ita"), dall'altra troviamo un album dal titolo identico e dai medesimi intenti, ovvero tracciare una mappa della musica americana attraverso otto brani registrati in otto città diverse, presso otto studi diversi, con otto artisti ospiti diversi. Dobbiamo chiamare in causa il Bardo e citare il suo Much Ado About Nothing ("molto rumore per nulla")? In effetti, gli otto, lunghi brani che vanno a comporre il disco hanno ben poco di memorabile, ma possono fungere egregiamente come colonna sonora di sottfondo (magari per una serie televisiva...). E se il precedente, scarno e miserello Wasting Light (2011) aveva una miriade di difetti ma risultava essere, in tutto e per tutto, il frutto del processo creativo di una rock band, di Sonic Highways non si può dire altrettanto: qua troviamo soltanto un quadernino di scuola appartenente a Dave Grohl, con esercizi ben riusciti (Congregation o What Did I Do?/ God As My Witness) e altri che già al terzo ascolto diventano insopportabili. La produzione di Butch Vig (il tale che, nel 1991, produsse un certo Nevermind) è orchestrata bene, gli ospiti scelti con intelligenza e rigore (gradita sopresa la sei corde di Gary Clark, Jr., uno dei più grandi chitarristi emersi negli ultimi anni e del cui recente Live mi piacerebbe scrivere molte righe), l'artwork studiato fin nel più minimo dettaglio, ma ripeto: siamo di fronte ad una colonna sonora di cui presto ci dimenticheremo. E di serie tv altrettanto belle ma con una musica nettamente migliore il pubblico può trovarne molte altre.
Ma non sempre la passione può bastare, e il nuovo Sonic Highways lo dimostra, così come ribadisce un concetto ben più importante: a volte è necessario scindere le cose. Ad esempio, se da una parte abbiamo la straordinaria serie docu-televisiva Sonic Highways prodotta da Grohl per HBO (cinque delle otto puntate sono già in rete con i bramati "sub ita"), dall'altra troviamo un album dal titolo identico e dai medesimi intenti, ovvero tracciare una mappa della musica americana attraverso otto brani registrati in otto città diverse, presso otto studi diversi, con otto artisti ospiti diversi. Dobbiamo chiamare in causa il Bardo e citare il suo Much Ado About Nothing ("molto rumore per nulla")? In effetti, gli otto, lunghi brani che vanno a comporre il disco hanno ben poco di memorabile, ma possono fungere egregiamente come colonna sonora di sottfondo (magari per una serie televisiva...). E se il precedente, scarno e miserello Wasting Light (2011) aveva una miriade di difetti ma risultava essere, in tutto e per tutto, il frutto del processo creativo di una rock band, di Sonic Highways non si può dire altrettanto: qua troviamo soltanto un quadernino di scuola appartenente a Dave Grohl, con esercizi ben riusciti (Congregation o What Did I Do?/ God As My Witness) e altri che già al terzo ascolto diventano insopportabili. La produzione di Butch Vig (il tale che, nel 1991, produsse un certo Nevermind) è orchestrata bene, gli ospiti scelti con intelligenza e rigore (gradita sopresa la sei corde di Gary Clark, Jr., uno dei più grandi chitarristi emersi negli ultimi anni e del cui recente Live mi piacerebbe scrivere molte righe), l'artwork studiato fin nel più minimo dettaglio, ma ripeto: siamo di fronte ad una colonna sonora di cui presto ci dimenticheremo. E di serie tv altrettanto belle ma con una musica nettamente migliore il pubblico può trovarne molte altre.
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