Aspettavo da tempo il film con cui Antoine Fuqua sarebbe tornato ai livelli di Costretti ad uccidere (1998) e Training Day (2001): ebbene, sabato sera posso dire di essere stato accontentato. Il tutto grazie al suo nuovo film, The Equalizer (nel nostro paese accompagnato dallo sbagliatissimo sottotitolo Il vendicatore), e a quell'ottimismo che da sempre nutro nei confronti di tutti quegli umili registi di mestieri che lavorano a ritmi serrati (uno, due film l'anno) e le cui carriere non sono certo avide di cadute (Bait- L'esca), scempi (il precedente Attacco al potere è uno dei film più brutti degli ultimi novant'anni) e flop clamorosi (Exit Strategy, un buon pilot prodotto da Fox Television, non conoscerà purtroppo alcun seguito).
La trama di Equalizer non si contraddistingue certo per un eccesso di originalità: Robert McCall (Denzel Washington, attore bravissimo e perennemente impagabile) lavora dall'Io Brico americano, legge i romanzi lasciati dalla sua defunta moglie e cena ogni sera nella stessa tavola calda con lo stesso caffè e lo stesso dessert, parlando- anche se con un certo distacco -con la giovane prostituta Alina (una Grace Moretz utile soltanto a fornire un docile pretesto ai fini della storia). Quando questa però viene pestata a sangue da alcuni malavitosi, Robert si arrabbia parecchio, e il film può cominciare, in un tripudio di cattivi terrificanti, poliziotti corrotti e scene di lotta che pagano un debito enorme nei confronti di Wong Kar-Wai, John Whoo (mentore e produttore del primo film di Fuqua), Takashi Miike e di tutto un cinema che, se non fosse per gli orientali, manco esisterebbe. Pur non esimendosi da certi eccessi retorici e da qualche ripetizione, quello di Fuqua è un cinema rinato, complici una sceneggiatura efficace, un protagonista che da solo vale l'intera squadra dei Mercenari 3 e una tecnica registica che dà il massimo in questa ambientazione notturna e spesso angosciante, urbana e gangsteristica. La scena del combattimento finale nell'Home Mart di The Equalizer rappresenta, nel cinema d'azione odierno, il trionfo della forma sulla sostanza. E se proprio i cinesi (e Sergio Leone, prima di loro) ci insegnano che anche la più bella storia del mondo narrata con sciatteria diventa inutile, vale la pena dire che Antoine Fuqua si è liberato dai clichè professionali e (soprattutto) ideologici che, se fossero stati ripetuti ancora, lo avrebbero relegato nel mondo delle macchiette.
Adesso vediamo cosa diranno certi critici, in particolare quelli che ai tempi del buon Nicholas Ray volevano sconvolgere il mondo e oggi sono più conservatori di un pensionato bresciano che vota Lega. Stanchi di fare a pezzi Walter Hill, magari troveranno un nuovo bersaglio da fare a pezzi, una nuova vittima che giustifichi la loro esistenza ormai sterile: e magari quella vittima si chiamerà Fuqua.
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