Down Where The Spirit Meets The Bone
(Highway20 Records, 2014, 2 Cd)
★★★★★
Che interesse può avere un'artista di sessantuno anni acclamata in tutto il mondo, stimata da critica e pubblico e con una decina di album alle spalle incisi dal 1979 in poi, a cambiare completamente metodologia di lavoro e ad auto-prodursi? Visto che si parla di Lucinda Williams non viene di certo da addurre a questa sua decisione la motivazione della crisi del mercato discografico: ha sempre venduto il giusto e ha iniziato a conoscere successi commerciali più ampi solo dopo gli anni '90, ma ciò nonostante ha sempre avuto la sua schiera di fans affezionatissimi e disposti a seguirla ovunque. I suoi tour erano lunghi anche quando il sistema concerto non era ancora divenuto l'unico mezzo di sostentamento ancora valido nel music business. Perciò, gli unici motivi in grado di giustificare la scissione del contratto con la Lost Highway e la fondazione della sua Highway 20, sono di natura esclusivamente artistica.
Nato nell'arco di tre anni, scritto, pensato e registrato con totale calma, Down Where The Spirit Meets The Bone è il capolavoro della migliore cantante in circolazione (almeno al momento). Venti canzoni per un album doppio suonato con musicisti che, se non sono Dio, ci si avvicinano parecchio: da Tony Joe White a Bill Frisell, da Ian McLagan a Jakob Dylan, da Johnatan Wilson a Butch Norton, tanto per citarne solo alcuni. I testi della Williams continuano a non avere paragoni: perfino in dischi meno riusciti (penso a West, per esempio) le storie narrate e le parole usate per raccontarle rappresentavano un punto di forza unico. Stavolta, però, i toni si fanno più solari, più morbidi, e la voce della cantante, pur non perdendo quel clamoroso accento sudista e quel timbro sofferente, sembra essere più sicura e diretta. Così come lo è l'intero Down Where The Spirit Meets The Bone, un album rock prevalentemente chitarristico che fa tremare, emoziona, risuona nell'anima di chi non si dà per vinto e persiste nell'ascoltare certa buona musica e, fra decine e decine di suoni fasulli e parole vacue, sa ancora riconoscere la materia con cui vengono plasmati i capolavori. Per mole e intensità, qua siamo dalle parti del The River springsteeniano, solo trentaquattro anni dopo e con una capacità di interpretazione canora fuori dal comune. Non scrivo titoli o consiglio brani, perchè in questi due compact non esiste una canzone più brutta di altre: al massimo ne troverete una più bella di quelle già meravigliose.
Nato nell'arco di tre anni, scritto, pensato e registrato con totale calma, Down Where The Spirit Meets The Bone è il capolavoro della migliore cantante in circolazione (almeno al momento). Venti canzoni per un album doppio suonato con musicisti che, se non sono Dio, ci si avvicinano parecchio: da Tony Joe White a Bill Frisell, da Ian McLagan a Jakob Dylan, da Johnatan Wilson a Butch Norton, tanto per citarne solo alcuni. I testi della Williams continuano a non avere paragoni: perfino in dischi meno riusciti (penso a West, per esempio) le storie narrate e le parole usate per raccontarle rappresentavano un punto di forza unico. Stavolta, però, i toni si fanno più solari, più morbidi, e la voce della cantante, pur non perdendo quel clamoroso accento sudista e quel timbro sofferente, sembra essere più sicura e diretta. Così come lo è l'intero Down Where The Spirit Meets The Bone, un album rock prevalentemente chitarristico che fa tremare, emoziona, risuona nell'anima di chi non si dà per vinto e persiste nell'ascoltare certa buona musica e, fra decine e decine di suoni fasulli e parole vacue, sa ancora riconoscere la materia con cui vengono plasmati i capolavori. Per mole e intensità, qua siamo dalle parti del The River springsteeniano, solo trentaquattro anni dopo e con una capacità di interpretazione canora fuori dal comune. Non scrivo titoli o consiglio brani, perchè in questi due compact non esiste una canzone più brutta di altre: al massimo ne troverete una più bella di quelle già meravigliose.
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