Ci troviamo in una stanza per gli interrogatori. Gaspare Spatuzza (Enzo Lombardo) è un mafioso già condannato che sta conseguendo la laurea in teologia ed è smanioso di collaborare con la giustizia. Due agenti leggono una lista di nomi: gente morta per mano ignota. L'ignoto, nove casi su dieci, è proprio Spatuzza. La macchina da presa inizia ad arretrare, si allontana dal tavolo dell'interrogatorio, e poi dalla stanza, mostrandoci primariamente la finzione del cinema, e poi un set di cartoni e luci, un teatro di posa e, da ultimo, il pubblico. Un pubblico, quello mostrato, anzi svelato, all'inizio de La trattativa di Sabina Guzzanti (giunta al suo sesto lungometraggio cinematografico) composto dai "lavoratori dello spettacolo", che si alternano nella ricostruzione recitata di tutto ciò che si sa su uno dei più grandi misfatti della storia della nostra Repubblica: la trattativa stato-mafia.
Prendendo come punto di riferimento formale Documenti su Giuseppe Pinelli (1970) di Elio Petri e Nelo Risi, la Guzzanti dimostra di essere davvero cresciuta sul piano cinematografico (prima di Draquila, la sua era una produzione discontinua e piuttosto acerba): dalla scelta di autentici fuoriclasse teatrali per interpretare più personaggi (attori meravigliosi che molto probabilmente non rivedremo mai più sul grande schermo) ad una selezione precisa e attenta di materiale d'archivio, interviste e documenti assortiti, la comica romana presenta non chiacchiere, ma fatti, semplici, compiuti e vergognosi.
C'è chi si meraviglia dello scarso successo che La trattativa sta riscuotendo in sala (21.000 € di incasso dopo una settimana di proiezione rappresentano, ahimè, un cocente flop), e non ha torto il cronistucolo che, su Libero del 4 ottobre, scrive che "gli spettatori vogliono altro, non sono interessati a come la Guzzanti affronta la trattativa Stato-Mafia [...] la gente ha altro a cui pensare, ha altri problemi, vuole altro": sicuramente, la gente ha altro a cui pensare e ha molti altri problemi (chi legge certi articoli in maniera particolare). Di fatto, se la gente non avesse passato quasi settant'anni a pensare ad altro, La trattativa della Guzzanti (che più che ad un un film somiglia ad un atto di civiltà) sarebbe stato un documentario molto diverso e sicuramente con un bel lieto fine.
Prendendo come punto di riferimento formale Documenti su Giuseppe Pinelli (1970) di Elio Petri e Nelo Risi, la Guzzanti dimostra di essere davvero cresciuta sul piano cinematografico (prima di Draquila, la sua era una produzione discontinua e piuttosto acerba): dalla scelta di autentici fuoriclasse teatrali per interpretare più personaggi (attori meravigliosi che molto probabilmente non rivedremo mai più sul grande schermo) ad una selezione precisa e attenta di materiale d'archivio, interviste e documenti assortiti, la comica romana presenta non chiacchiere, ma fatti, semplici, compiuti e vergognosi.
C'è chi si meraviglia dello scarso successo che La trattativa sta riscuotendo in sala (21.000 € di incasso dopo una settimana di proiezione rappresentano, ahimè, un cocente flop), e non ha torto il cronistucolo che, su Libero del 4 ottobre, scrive che "gli spettatori vogliono altro, non sono interessati a come la Guzzanti affronta la trattativa Stato-Mafia [...] la gente ha altro a cui pensare, ha altri problemi, vuole altro": sicuramente, la gente ha altro a cui pensare e ha molti altri problemi (chi legge certi articoli in maniera particolare). Di fatto, se la gente non avesse passato quasi settant'anni a pensare ad altro, La trattativa della Guzzanti (che più che ad un un film somiglia ad un atto di civiltà) sarebbe stato un documentario molto diverso e sicuramente con un bel lieto fine.
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