Reachy Prints (Warp Records, 2014)
★★★★
Che caldo, improvvisamente.
E pensare che nei due giorni precedenti le ore serali sembravano appartenere di più ad un tardo ottobre che non al maggio allegro e spensierato decantato dai poeti lirici e non. E poi quel cielo grigio, così british e, al contempo, così lontano da quell'Inghilterra dove noi italiani ci riversiamo ormai in massa. La stessa Inghilterra in cui è ambientato Reachy Prints, nuova opera in studio dei Plaid. Ora che ci penso, la Warp Records non poteva scegliere momento, giorno e stagione migliori per lanciare questo loro decimo album.
Certi dischi sono una trappola. Me ne sono accorto stamani, quando di buon'ora ho acceso il portatile e ho aperto iTunes Store, evitando la visione delle immagini king size di Deborah Iurato (finalista di Amici 2014), costretta a cantare per vivere e della quale è uscito or ora il primo album.
<<Solo un ascolto...>>, mi sono detto. E invece l'orecchio mi è stato catturato da una opening track del calibro di Oh. Non resistendo al richiamo delle esclamazioni, ho proceduto immediatamente all'ascolto integrale di tutti e nove i brani.
La discografia dei Plaid (duo formatosi nel 1991 ad opera dagli ex-Black Dog Ed Handley e Andy Turner) è un alternarsi di piccole opere destinate ai piatti delle piste techno (l'ingiustamente dimenticato Spokes) e capolavori di avanguardia glitch e IDM (come dimenticare Not For Threes ?), ma un fattore accomuna tutta la loro esperienza artistica: la volontà di creare suoni atonali puri, spremibili fino a farne derivare un succo musicale in grado di riversarsi sia nei lettori digitali degli ascoltatori warpizzati che nelle console dei club underground.
Eppure basta leggere una qualsiasi lista di musicisti glitch per convincersi che sussistono nomi ben più noti e personalità notevolmente più forti di quelle del duo britannico autore di questo Reachy Prints. Musica minimalista, quella dei Plaid del 2014, evidentemente stanchi di esperimenti visuali (Greedy Baby), di concerti electro-sinfonici e di colonne sonore inascoltate e destinate a film inosservati. Dopo l'apertura, ancora tre grandi pezzi metropolitani (il singolo di lancio Hawkmoth, Nafovanny e Slam), mentre con il quinto brano, Wallet, si inizia a raggiungere il limite della città e a sentire odore di notturne periferie da esplorare (Matin Lunaire) o di località balneari un tempo ridenti e oggi affogate nel loro stesso cemento (Tether).
Il modo in cui i Plaid ci accompagnano verso la fine dell'album va oltre la meraviglia. Ropen è una scintilla di genio: un disco graffiato che fa risuonare una serie di samples dissonanti che accennano una melodia ma solo per pochi secondi, giusto il tempo di accorgerci che si tratta di musica creata con qualche vecchio, "sdrucito" software per PC. E infine ecco la versione definitiva della già ampiamente presentata dal vivo Liverpool St. (il pezzo girava, sotto forma di bootleg, con differenti mix già da due anni): si va dalle ispirazioni orientali dell'operetta cinese agli esperimenti sinfonici occidentali. Un divano sonoro che poggia su un tappeto poco vistoso ma saldamente ancorato alla manifattura del Detroit Sound (immaginate i BPM destinabili ad un pezzo simile). Ma l’impressione che il disco comunica non è quella del melting pot multietnico e perennemente raeggato à la Nightmares On Wax, nè va circoscritto esclusivamente all'ambito glitch e/o drone rigoroso e scolastico degli Autechre (sempre per restare in casa Warp). E anche per questo Reachy Prints risulta perfettamente armonizzato e lontano da ogni cosa recentemente prodotta dalla coppia Handley&Turner (Scintilli era solo un preambolo poco convincente al suono che troviamo qua dentro). Viene quasi da pensare che questi due abbiano voluto rubare tutta la musica del mondo per risuonarla secondo la propria curiosità e con la propria abilità. Riuscendo oltretutto meglio di molti.
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