Sono al computer a scrivere di musica rock. In cuffia mi risuona per la terza volta dal pomeriggio Stratosphere, secondo album solista di Matt Sorum; ormai lo conosco, ma questo è l'ascolto migliore, perchè, come già aveva scoperto Novalis, sono convinto che la musica sia una creatura che la notte dà il massimo.
Guardo il Matt Sorum di oggi, una rockstar americana (ma norvegese da parte di padre) di cinquantaquattro anni un po' timida e un po' dandy, ma con le idee parecchio chiare: le stesse idee che, a poco più di vent'anni, lo portarono in studio come turnista di Tori Amos (allora leader della band Y Kant Tori Read) e che, nel 1985, lo fecero diventare il batterista dei Cult, la gloriosa band fondata da Ian Astbury in cui Matt militò fino all'autunno del 1990. Fu allora che, dopo un'audizione leggendaria, entrò a diritto nei Guns N'Roses, sostituendo di fatto Steven Adler. Con loro incise due album e partecipò al più lungo tour della storia del rock (per i profani, il Use Your Illusion World Tour), prima di essere cacciato (letteralmente) da Axl Rose nel 1998.
Complice una serie di sfortunati (o fortunati) eventi, il buon Matt è stato, in ordine di tempo, l'ultimo ex-membro dei Guns ad imboccare la carriera solista: ne è testimonianza il misconosciuto Hollywood Zen (Brash Music, 2003), prima occasione per il batterista di dar prova delle sue capacità compositive, messe in dubbio già negli anni novanta proprio da Axl (lo considerava poco più di un turnista). E per quanto sia passato talmente inosservato da non venire neanche recensito dai più autorevoli biografi dei GNR (su tutti, l'attento e impagabile Ken Paisli), Hollywood Zen risulta ancora, dopo undici anni, un'opera più gradevole di tutti i dischetti autoprodotti da Izzy Stradlin e venduti su iTunes dal 2005 in poi.
Oggi, dopo undici anni, Matt Sorum si è lasciato definitivamente alle spalle i problemi esistenziali narrati nella sua Confession: è un musicista a tempo pieno che va a promuovere l'arte a giro per le scuole americane, un produttore indipendente che prende parte a vari progetti (attualmente, è nei Camp Freddy di Dave Navarro) e che, di quando in quando, viene chiamato a collaborare a tour (recentemente, ha rimpiazzato Mikkey Dee nei Motorhead) e album in studio. E il suo nuovo progetto solista- rinominato Matt Sorum's Fierce Joy su consiglio di Lemmy Kilmister e benedizione di Ringo Starr -è figlio di questa iperattività musicale. Si sente già dal sontuoso Intro la smania di "spippolare", di manipolare il suono, di allontanarsi dal sound hard rock tipico dei Guns e dei Velvet Revolver e dal punk rock dei Neurotic Outsiders. Con la successiva The Sea siamo su una spiaggia hawaiana, la sabbia è viola, le onde dell'Oceano sono screziate di acido lisergico e il signor Matt Sorum una canzone così, molto probabilmente, non la scriverà più per il resto della sua vita. Così come la splendida, malinconica chitarra accompagnata dagli archi (veri e non sintetizzati) di Goodbye To You suona come totalmente estranea al panorama sonoro a cui ci aveva abituati il batterista. Batterista che, in Stratosphere, per scelta non ha mai preso in mano le bacchette: Matt, infatti, in questi undici anni ha imparato a suonare chitarra, basso e pianoforte, e questi suona, omaggiando nei suoni e nei testi la musica che lo ha indotto a suonare sin da piccolo. Ritroviamo ovunque l'ombra del Bowie di Ziggy Stardust (dall'eloquente ma deboluccia What Ziggy Says alla più solida Gone, da Josephine alla sbiadita conclusione The Lovely Tear Drop), dei Beach Boys (Land Of The Pure), di Hendrix (Lady Of The Stone) e dei grandi folk-singer del passato (notevole, in questo senso, la poesia-tributo Ode To Nick Drake). Peccato soltanto che i momenti peggiori del disco siano proprio quelli che vorrebbero suonare più hard n'heavy (Ford The Wild Ones, Killers N Lovers) e che spesso Matt si lasci trasportare un po' troppo dalla propria retromania, perdendosi nei meandri dell'effetto sonoro rudimentale, nell'eccesso di percussioni e arrangiamenti orchestrali e in una certa retorica dei testi (con tutto il bene che gli si può volere, come autore di canzoni non è Rod Stewart o Paul McCartney) . Per il resto, Stratosphere è un album ben prodotto, i Fierce Joy sono bravi musicisti e il disco promette di ricevere quella quantità di attenzioni che furono negate, undici anni fa, al suo sfortunato predecessore.
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