Paul Schrader: sceneggiatore di Yakuza, Taxi Driver, Toro scatenato, Al di là della vita e regista di American Gigolo, Lo spacciatore e Le due verità. Autore dostoevskijiano nella forma e nei contenuti.
Bret Easton Ellis: scrittore di fama internazionale, autore di Meno di zero, American Psycho, Le regole dell'attrazione, Glamorama, Lunar Park e Imperial Bedrooms. Uno dei pochi casi di romanziere di cui ho letto tutti i libri. Da sempre vicino al cinema, anche solo per le trasposizioni (solitamente efficaci e ben riuscite) dei suoi libri.
Metteteli insieme e otterrete The Canyons.
Lindsay Lohan: bad-girl hollywoodiana per eccellenza. Carriera avviata da bambina con i classici filmetti per famiglia, proseguita col cinema d'autore (Radio America di Altman) e culminata con un threesome in piscina capitanato da Danny Trejo nel primo Machete.
James Deen: pornodivo ventisettenne, protagonista di oltre mille film, considerato uno dei migliori attori a luci rosse del momento.
Metteteli insieme e otterrete The Canyons.
Potrei scrivere che siamo davanti ad un brutto thriller camuffato da bel melodramma, con attori che recitano come in una soap-opera (il che non vuol dire "recitare male", ma "recitare diversamente da quanto siamo abituati a vedere normalmente al cinema") e con un quarto d'ora finale mediocre, tirato via e registicamente insulso. Ma non lo farò.
Non lo farò perchè The Canyons vuol essere ed è di più.
Schrader è primariamente uno scrittore, uno sceneggiatore, uno che di professione racconta storie: ma stavolta si fa da parte e chiama Ellis, ed Ellis sa e descrive cosa sono le persone, e di conseguenza che cos'è il mondo. Un mondo al capolinea, dove il ricchissimo produttore Christian (Deen) e la sua compagna Tara (Lohan), ex-aspirante attrice "comprata" dal fondo fiduciario del fidanzato, convivono in un villone californiano e passano le giornate a vedere i rispettivi vuoti interiori specchiarsi negli schermi dei loro smartphone. A sera si animano, praticando scambi di coppia e giochi erotici e riprendendosi col cellulare. Nulla può salvarli dalla superficialità, neanche l'amore: Tara, infatti, si frequenta di nascosto con l'ex-fidanzato Ryan (Nolan Funk), ma la sfrenata passione per i soldi trionfa su tutto. Così come lo status aristocratico di Christian non sembra conoscere ostacoli, permettendogli di infrangere qualunque regola morale e sociale e ponendolo, per quanto pazzo e malato, in una dimensione di superiorità assoluta (non a caso, all'inizio, viene definito "il Re").
Schrader sceglie degli anti-divi per girare un film anti-cinematografico alla base (la casa di produzione è il sito web Kickstarter): la Lohan è sfatta, distrutta, struccata e disillusa, mentre James Deen buca lo schermo, dimostrandosi perfetto protagonista di una pellicola lontana sia dalla commercialità del melò pre-natalizio e pre-confezionato, sia dal successo più "di settore" dei suoi film pornografici. E immancabilmente, come succede sempre con Ellis, il protagonista ricco ed edonista è il male assoluto, la riprova che il benessere genera mostri. Patrick Bateman ha "ricaricato le batterie" e cambiato nome; lo yuppie assassino si è trasferito da New York a Los Angeles, città dove consuma i propri delitti in maniera ben più subdola, delitti che rimangono comunque impuniti sempre grazie alla classe, alla posizione sociale. Ed è su questo punto che The Canyons è fastidioso: ferisce e dà noia perchè- proprio come nelle pagine di American Psycho -dimostra che il mondo è regolato da meccanismi malvagi a loro volta manovrati da inetti. Peccato che gli inetti, i malati di mente e i delinquenti (Christian) abbiano il potere su chi appartiene alle categorie sociali inferiori (Tara e Ryan). E la colpa di questi ultimi è assistere, passivi, alle malefatte dei malvagi, talvolta amandoli, mettendoseli accanto, divenendone involontariamente complici. Per questo The Canyons è un film quasi carpenteriano e/o romeriano nei contenuti: perchè sin dalle prime battute dà già per scontato che tutto sia finito, morto, estinto e senza speranza. Non è un caso che Tara stia guardando La notte dei morti viventi nel suo schermo piatto quando il film viene "ucciso" da una chat in text-tv. Il cinema, un tempo tanto amato dalla protagonista, è morto, sconfitto dalla rete, esattamente come è venuto meno l'amore (privato ma anche universale) fra uomo e donna, svilito a mero esercizio auto-erotico e ridotto esclusivamente a oggetto di controllo della vita degli altri. Niente schermi, niente proiettori, niente sensazioni: solo i freddi, glaciali cristalli liquidi dei Nokia su cui si sussegue lo spettacolo della messaggistica istantanea. E così la trama di un banalissimo thriller da rotocalco viene filtrata attraverso una finzione che va contro il cinema stesso e che rinuncia a spettacolarizzare qualunque cosa. Anche un omicidio.
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