Non lo definirei un "capolavoro", nè tantomeno il miglior film italiano uscito quest'anno (come hanno scritto quelli che trovano sempre una scusa per non andare a vedere altri film italiani), ma almeno il Suburra di Stefano Sollima ha fatto smuovere un po' le stagnanti acque del cinema di casa nostra.
Intanto, in molti lo hanno preso come un'indagine di finzione su Mafia Capitale. Sbagliato. Suburra è primariamente un libro di Carlo Bonanni e Giancarlo De Cataldo pubblicato da Einaudi un paio di anni fa (cioè quando la Mafia Capitale prosperava pur senza conquistarsi le prime pagine dei giornali) e prontamente modificato da Sollima in fase di pre-produzione: la storia del romanzo ruotava attorno all'eterna sfida fra la guardia e il ladro, con un ex-malvivente della banda della Magliana e un anziano tenente dei carabinieri come protagonisti. Il soggetto del film cassa in partenza la figura del tenente e mantiene solo il cattivo Samurai (Amendola al suo meglio), a cui vanno ad aggiungersi uno sgradevole politico di maggioranza (la maggioranza dei primi di novembre del 2011) di nome Malgradi (Favino), un viscido PR (Elio Germano vagamente sopra le righe), e ancora un piccolo e orgoglioso boss di Ostia, la sua ragazza tossica, una famiglia di zingari folli e ricchi e una escort di alto bordo. Storie che si intrecciano nell'arco di una settimana, mentre il Paese continua ad affondare e il Papa manifesta l'intenzione di dimettersi.
La sceneggiatura, costellata di colpi di genio ma pure di qualche caduta e di alcune stranezze, viene affidata alla premiata ditta Rulli&Petraglia. Il cast segue la migliore tradizione sollimiana e rinuncia ai soliti attorucoli nostrani antipatici e narcisisti, finendo con lo sfoderare eccelse prove di recitazione: Alessandro Borghi nei panni di Numero 8, Greta Scarano in quelli di Viola e Adamo Dionisi nel ruolo del cattivissimo zingaro Manfredi Anacleti. Ben sfruttata la colonna sonora degli M83, ma niente di nuovo (guardate gli ultimi film di Nicolas Winding Refn e capirete). Grandioso il lavoro di set, costumi e caratterizzazione generale dei personaggi.
Il risultato globale di Suburra è quello di un ottimo noir all'italiana (roba che non si vedeva dai tempi dell'eccezionale Arrivederci amore ciao di Soavi) che non rinuncia a nulla dell'estetica cara al suo autore e di cui, soprattutto, non viene meno la natura televisiva. Tanti additano un certo uso del colore, del montaggio e del taglio dell'inquadratura come un grosso limite del cinema di Sollima, che però in televisione è nato, cresciuto e promette di voler continuare a starci. Infatti Suburra è, in primis, l'episodio pilota di oltre due ore di quella che sarà una serie televisiva prodotta dal colosso americano della comunicazione Netflix in collaborazione con RAI, e poi, secondariamente, è un bel film di genere prodotto e diretto con tutti i rismi del caso, con una storia validissima, dei protagonisti abominevoli e convincenti, tanto rispetto per una tradizione purtroppo andata perduta e un occhio di critica sociale che non guasta assolutamente.
Intanto, in molti lo hanno preso come un'indagine di finzione su Mafia Capitale. Sbagliato. Suburra è primariamente un libro di Carlo Bonanni e Giancarlo De Cataldo pubblicato da Einaudi un paio di anni fa (cioè quando la Mafia Capitale prosperava pur senza conquistarsi le prime pagine dei giornali) e prontamente modificato da Sollima in fase di pre-produzione: la storia del romanzo ruotava attorno all'eterna sfida fra la guardia e il ladro, con un ex-malvivente della banda della Magliana e un anziano tenente dei carabinieri come protagonisti. Il soggetto del film cassa in partenza la figura del tenente e mantiene solo il cattivo Samurai (Amendola al suo meglio), a cui vanno ad aggiungersi uno sgradevole politico di maggioranza (la maggioranza dei primi di novembre del 2011) di nome Malgradi (Favino), un viscido PR (Elio Germano vagamente sopra le righe), e ancora un piccolo e orgoglioso boss di Ostia, la sua ragazza tossica, una famiglia di zingari folli e ricchi e una escort di alto bordo. Storie che si intrecciano nell'arco di una settimana, mentre il Paese continua ad affondare e il Papa manifesta l'intenzione di dimettersi.
La sceneggiatura, costellata di colpi di genio ma pure di qualche caduta e di alcune stranezze, viene affidata alla premiata ditta Rulli&Petraglia. Il cast segue la migliore tradizione sollimiana e rinuncia ai soliti attorucoli nostrani antipatici e narcisisti, finendo con lo sfoderare eccelse prove di recitazione: Alessandro Borghi nei panni di Numero 8, Greta Scarano in quelli di Viola e Adamo Dionisi nel ruolo del cattivissimo zingaro Manfredi Anacleti. Ben sfruttata la colonna sonora degli M83, ma niente di nuovo (guardate gli ultimi film di Nicolas Winding Refn e capirete). Grandioso il lavoro di set, costumi e caratterizzazione generale dei personaggi.
Il risultato globale di Suburra è quello di un ottimo noir all'italiana (roba che non si vedeva dai tempi dell'eccezionale Arrivederci amore ciao di Soavi) che non rinuncia a nulla dell'estetica cara al suo autore e di cui, soprattutto, non viene meno la natura televisiva. Tanti additano un certo uso del colore, del montaggio e del taglio dell'inquadratura come un grosso limite del cinema di Sollima, che però in televisione è nato, cresciuto e promette di voler continuare a starci. Infatti Suburra è, in primis, l'episodio pilota di oltre due ore di quella che sarà una serie televisiva prodotta dal colosso americano della comunicazione Netflix in collaborazione con RAI, e poi, secondariamente, è un bel film di genere prodotto e diretto con tutti i rismi del caso, con una storia validissima, dei protagonisti abominevoli e convincenti, tanto rispetto per una tradizione purtroppo andata perduta e un occhio di critica sociale che non guasta assolutamente.
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