Seasick Steve,
Sonic Soul Surfer
(Fiction Records/ Third Man Records, 2015)
★★★
"Sei un sognatore perso, senza senso pratico nè degli affari. Così le persone credono di poterti fregare a loro piacimento. Poi però ti metti al tavolo e scrivi un libro su di loro per mostrare che razza di maiali sono."
Christopher Isherwood, Addio a Berlino (Garzanti, Milano 1966)
Uno dei più grandi miti antichi sopravvissuti alla modernità è quello del Giudizio Universale. Alla fine dei tempi, l'umanità sarà divisa senza appello. Da una parte, gli assunti al Paradiso, pottini che si leveranno in volo su un Boeing 777-200LR dotato di tutti i comfort. Dall'altra, i dannati, quelli destinati a restare e a vagare, senza meta nè dimora, per le autostrade dell'inferno terreno.
Il Giudizio Universale è ora e Seasick Steve (nato Steven Gene Wold, classe 1941) rientra nella categoria dei dannati. A tredici anni lascia la natìa California e iniziò a montare sui treni, conducendo una vita di avventura e lavori occasionali fra Tennessee e Mississippi. Si appassiona presto al blues e al country, impara ad assemblare chitarre fatte con materiale di scarto e inizia a suonare con artisti più o meno noti. All'inizio degli anni '60 apre perfino per Joni Mitchell. Dal 1973 in poi, pur senza rinunciare alla sua vita da vagabondo, comincia a bazzicare vari studi di registrazione, distinguendosi come sessionman nell'uso della bootleneck, della stomp-box e del banjo. Il suo esordio discografico è rappresentato da Cheap (2004), cronaca fedele di quegli anni novanta che lo hanno visto vivere per strada fra Parigi e Oslo. Ma il vero successo arriva con Dog House Music (2006), che lo porta a comprarsi un trattore John Deere e a compiere un tour mondiale, attirando il plauso della critica e la stima del pubblico. Specie in Inghilterra riceve gli onori di una divinità: nel 2009 la BBC gli dedica un bellissimo documentario (Seasick Steve: Bringint It All Back Home), nel 2010 è ospite di Top Gear e solca il main-stage di Glastonbury, nel 2011 è di nuovo in Terra d'Albione per registrare Hubcap Music, in cui il basso è suonato nientepopodimeno che da John Paul Jones. Alla fine, complice anche un nuovo matrimonio, l'Inghilterra è divenuta anche il paese di residenza di Seasick Steve, che proprio qua pensa bene di registrare il nuovo Sonic Soul Surfer, uscito il 23 marzo per la Third Man Records.
Composto da dodici brani (sedici sulla versione LP), potrebbe essere la giuntura ideale fra le chitarre acustiche di Man From Another Time (2009) e i fremiti elettrici di Hubcap Music (2013). Steve torna alle sue origini di polistrumentista autodidatta, suonando lui stesso il basso e lavorando, per quanto riguarda la batteria, con una drum-machine. Brani topici sono la fantastica strumentale Bring It On, Roy's Gang e Barracuda '68. Per il resto, gli episodi realmente significativi si riducono a un numero basso, ma fa comunque piacere sentire Seasick Steve che suona il blues con un'energia che, a settantaquattro anni, gli fa solo onore. E anche se certe storie e certi arrangiamenti iniziano a farsi un po' ripetitivi, persiste qualcosa di magico in questo territorio dello spirito e dell'immaginazione descritto da un cigar-box pizzicato e dall'incessante vibrato di una slide come se ne sentono poche.
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