Voi lo sapevate che uno degli uomini più ricchi del mondo, discendente diretto di un magnate delle armi e presidente di una delle più famose multinazionali del globo fosse uno psicopatico appassionato di lotta libera afflitto da un complesso di Edipo grande perlopiù come il suo patrimonio immobiliare? Io no, e ne sono rimasto fortemente impressionato.
Sarà per il modo in cui Steve Carrell ha vestito i panni di John Du Pont (patron della Du Pont, l'azienda chimica che ha inventato, fra le tante, il nylon), sarà per la fotografia priva di vie di mezzo e tutta giocata su fuoco e fuori-fuoco di Greg Fraser, sarà per gli incessanti silenzi con cui i fratelli Schultz (Channing Tatum e Mark Ruffalo, egualmente bravi) portano avanti il loro rapporto difficile ma non scevro da affetto, ma a me Foxcatcher è proprio piaciuto. Il regista, Bennett Miller, è un amante delle storie vere, un autore attratto esclusivamente dal biopic che dopo essersi concesso al lato più luminoso e quasi "spielberghiano" della novella sportiva (lo scialbo L'arte di vincere) ha optato per una vicenda oscura, complessa e dalle dinamiche empatiche, in grado di inquietare e di andare ben oltre l'aspetto sportivo. Anche perchè la sportività che Du Pont ammirava e promuoveva con i suoi insegnamenti era un qualcosa di estremamente imperialista, tutta giocata sul malato rapporto fra Capitale e vigore fisico, fra amore patrio e atteggiamento belligerante. In più, va considerata la rivalsa nei confronti della madre e dell'ippica: non è un caso che i lottatori e i purosangue della tenuta Foxcatcher si ritrovino a condividere, a conti fatti, lo stesso perimetro e a popolare il medesimo, idealizzato e utopico micro-stato partorito dalla mente subnormale di un miliardario inetto e mai realizzato.
A suo modo, un film horror terrificante.
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