Gang,
Sangue e cenere
(Rumble Beat, 2015)
★★★★
A più di quattordici anni da Controverso e dopo una fortuita campagna di raccolta fondi già divenuta leggendaria (58.000 euro raccolti rispetto ai 6.000 richiesti come cifra base), i fratelli Severini tornano con un disco in studio bello, maturo e necessario. Con Sangue e cenere, prodotto da Jono Manson e registrato essenzialmente fra New York e Santa Fe, il viaggio al cuore della musica dei Gang sembra giungere a destinazione, strana parola per un complesso on the road da quasi tre decenni. Fondendo le loro radici marchigiane con la poetica gucciniana e l'elettricità riottosa dei Clash, i Gang si sono affermati come una band genuinamente rivoluzionaria, ancora oggi capace di scrivere canzoni che riflettono un'Italia provinciale e non baciata dai "miracoli" del renzismo (Nel mio giardino, Ottavo chilometro). La forza espressiva dei testi, il potere evocativo e la lucidità con cui descrivono storie, illusioni e fallimenti del nostro tempo li riconfermano fra i più grandi del rock italiano. Continuano a non fare sconti a nessuno (Alle barricate e la lunga, "smisurata preghiera" Marenostro) e a raccontare episodi "minori" o dimenticati della storia d'Italia (Perchè Fausto e Iaio?), se non addirittura le vite di personaggi illustri (Nino). C'è spazio pure per l'intima Mia figlia ha le ali leggere, con la quale i Gang prendono le distanze dall'ovattato mondo delle molte mummie del rock politico.
Con Jono Manson in console, i Severini approdano ad una formula sonora italo-americana definitiva, una formula che vede coinvolti i Round Mountain (già fiatisti di Bruce Springsteen), Garth Hudson dei The Band alla fisarmonica (non tanto casuale è la citazione ai Basement Tapes della copertina, che si potrebbe definire un vero e proprio atto d'amore verso le roots americane), Dave Devlin, Mark Clark e Charlie Cinelli. Ma la vera "parte del leone" spetta al polistrumentista Jason Crosby, il cui organo Hammond spazza via i pochi dubbi che aleggiano attorno al fatto che Sangue e cenere sia uno dei dischi italiani meglio prodotti degli ultimi vent'anni, pieno com'è di country rock assai poco allineato con l'offerta musicale nazionale. Generosi, coerenti e drammaticamente veri, i Gang possono dirsi fieri del risultato ottenuto seguendo l'ispirazione e l'aiuto dei fans. In un mercato che esige solo compartimenti ben distinti, è difficile che trovino spazio canzoni così ribelli, selvagge, pericolose ed eccessivamente sincere. Ci sono voluti quattordici anni e tre mesi di crowdfunding, ma i fratelli Severini hanno portato a casa il loro album migliore senza mediare con i padroni dell'industria del disco e scrivendo testi che rappresentano il collante perfetto tra radici e modernità, tra musica e letteratura, tra rabbia e poesia.
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