Dispiace dover scrivere male dell'ultimo film di Aldo, Giovanni e Giacomo, ma da una parte è anche doveroso. Chi come me ama tutto ciò che ha visto protagonista il trio fino al 2002 (e con "tutto" intendo tutto ciò che è stato visto al cinema, a teatro e in tv, pubblicità comprese) non potrà non essere colto da un certo senso di delusione. Per carità, non è cosa nuova: già con Tu la conosci Claudia? (2004) Aldo, Giovanni e Giacomo entrarono in una fase poco piacevole, e cioè quella del cinepanettone (un sistema cine-commerciale dei cui meccanismi rimarranno prigionieri, molto probabilmente, fino alla fine dei tempi). Si prova una certa amarezza nel notare che chi ha rivoluzionato, in piccolo, la comicità italiana della fine del Novecento sia oggi poco più che un saltimbanco, un balocchino da tirare fuori per le bancarelle di Natale e basta. Anche se il nuovo Il ricco, il povero e il maggiordomo ha un soggetto discreto (poi mal sviluppato) e una regia dignitosissima (complice, forse, il rientro del trio stesso in questo ruolo), del film rimane assai poco. Il ricco è il dottor Poretti Giacomo Maria, il suo schiavo è il nippofilo maggiordomo Giovanni e il povero che si imbatte sul loro cammino e ne "dirotta" le esistenze è il commerciante fallito Aldo. A margine c'è di tutto, dalla ricca faccendiera Assia (una Francesca Neri di cui si sente la mancanza) alla saggia e burbera "sciura" madre di Aldo (la brava Giuliana Lojodice), ma per il resto siamo dalle parti delle macchiette dei film di genere: il prete buono e paziente, i bambini disagiati e colorati, la moglie rifatta, il suocero dispotico, la pasticcera procace, la carrozziera zoccola. Vogliamo dare la colpa al mercato? Anche volendo, statistiche recenti dimostrano che i film di Natale incassano ogni anno di meno e che un produttore oculato, ormai, può tranquillamente risparmiare quei soldi oppure indirizzarli verso generi più redditizzi (cartoni animati e, strano ma vero, i documentari, che costano poco, sono tanti e ormai rappresentano da soli il 15% dell'offerta cinematografica annuale). Perciò, la crisi della commediola natalizia non è solo attribuibile alla stupidità di richiesta dell'ennesimo cinepanettone, ma a una vera e propria precarietà di idee artistiche e comiche.
Purtroppo, Il ricco, il povero e il maggiordomo, non ha gag sufficientemente divertenti nè battute che rimangono impresse dopo le canoniche otto ore di sonno dello spettatore, e anche per questo va ad ammontinarsi sul mucchio di quei film che eliminano ogni tipo di intelligenza e ricercano solo il sorrisetto facile, i due minutini di pensiero e la morale comoda, comoda. I pochi spunti buoni crollano per piacere ad un pubblico di famigliole che ha bisogno solo di vedere sette bambini di sette nazionalità diverse che giocano a calcio nel campino di una parrocchia. Aldo, Giovanni e Giacomo sembrano stanchi a ogni sequenza, si guardano perplessi, forse sono i primi a vedersi appannati. La loro comicità è stata totalmente svuotata e ribaltata rispetto a quella che hanno portato avanti fino ad una decina d'anni fa, mentre il film non scorre, stentando fra musiche insopportabili e banalità viste e riviste. La sceneggiatura si limita a buttare in tavola le solite due, tre carte che ormai si giocano tutte le commedie italiane. Sembra di essere tornati al Cinquecento, col Teatro dell'Arte, i soliti personaggi e il famoso "canovaccio" da seguire praticamente alla lettera.
Sono il primo ad avere in antipatia quei criticoni che odiano la televisione, i social network, i videogiochi e che dicono che la commedia italiana è ormai un genere di serie Z che può piacere solo ai dementi. Quanto sono odiosi!
Ma quanto hanno ragione.
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