Bob Dylan,
The Bootleg Series Vol. 11: The Basement Tapes Complete
(Columbia, 2014, 6 Cd+ Booklet)
★★★★★
C'è a chi di Bob Dylan non importa più nulla e a chi non gliene è mai fregato niente: quanto segue non è dedicato a nessuna di queste due categorie.
C'è chi li ha aspettati per quarantotto anni. C'è chi non si è mai fatto bastare il primo bootleg della storia della musica (Great White Wonder, TMQ, 1969) o le ventiquattro (meravigliose) canzoni fatte uscire, legalmente, nel 1975 come The Basement Tapes. C'è chi, per tutto questo tempo, non si è mai dato per vinto e ha continuato a pubblicare materiale in qualità scadente (il quadruplo A Tree With Roots del 2001), se non pessima (i cinque cd di The Genuine Basement Tapes, usciti tramite Punkhart alla fine degli anni '80). C'è chi ha ingannato il tempo scrivendo saggi estremamente tecnici e filologici (Sid Griffin, Milion dollar bash) e chi invece ha preferito dare maggiore spazio al potere della fantasia e alle ipotesi musicofile (Greil Marcus, La repubblica invisibile).
E poi c'è chi deve ancora realizzare che l'undicesimo volume della The Bootleg Series dylaniana presenta davvero tutte e centotrentanove le canzoni registrate dallo "zio Bob" con The Band fra il febbraio e la primavera del 1967. Canzoni eterne, idee di canzoni popolari, frammenti poetici, filastrocche, ballate, standard blues, richiami politici, country da top-ten involontario, suoni e qualcosa che non è ancora o soltanto musica. Gli artisti che si ritrovano a muoversi in questa lowland del rock sono il Bob Dylan del 1967 (convalescente dopo l'incidente in moto del '66 e, per dirla con Allen Ginsberg, "padre di famiglia e uomo") e i Levon & The Hawks, il complesso canadese che lo ha accompagnato nell'ultimo tour mondiale e che adesso ha cambiato nome in The Band. Dylan abita con la moglie Sara e i figli a Woodstock, quieta cittadina bucolica dello stato di New York. Nei boschi circostanti, trova spazio una grande casa di campagna denominata "Big Pink House": viene affittata e la cantina viene adibita a studio di registrazione. Inizia così l'avventura dei Basement Tapes, il risultato di un'esplosione creativa di lunga durata e inestimabile valore: brani registrati alla buona, testi oscuri e spesso privi di un definitivo messaggio, tracce praticamente incollocabili nel mercato discografico della fine degli anni '60. Dalle prime sessions (dischi 1, 2 e 3 dell'edizione Complete) saltano fuori arrangiamenti di famosi traditional di qualunque genere (la traccia di apertura Edge of the Ocean è un vecchio canto di marinai) e cover di grandi artisti di un passato più o meno recente (fra i tanti, Hank Williams, Johnny Cash, John Lee Hooker, Curtis Mayfield). Ed è allora che Dylan ricomincia a scrivere testi propri, mentre la Band compone, arrivando a registrare anche dieci demo al giorno. Molti brani (dischi 3, 4 e 5) vedranno la luce primariamente sottoforma di cover incise da altri musicisti (dai Byrds a Peter, Paul And Mary, dai Trinity ai Fairport Convention, fino alla stessa Band), per poi essere rimasterizzati e sovraincisi, in vista della prima selezione ufficiale, nel 1975. Quasi tutte le canzoni contenute qua dentro Dylan le ha cantate una sola volta nella vita, ovvero quando le ha registrate, libero da pressioni, furia, scadenze, tour incombenti e manifestazioni. L'ultimo disco del boxset propone invece una buona fetta di canzoni registrate alla fine di quelle leggendarie sessions e mai emerse- neanche "per sentito dire" -dalla cantina. Il gigantesco librone di centoventi pagine curato da Sid Griffin offre invece una bella selezione di immagini e ottime pagine critiche sullo sviluppo di quella che già negli anni '70 veniva definita "la più grande enciclopedia della musica tradizionale americana".
Il Dylan del 1961-64, quello della canzone di protesta, è lontano anni luce, così come è ormai finita l'incompresa, geniale rivoluzione elettrica del biennio '65-'66: tutto quel gigantesco bagaglio di esperienze viaggiava su quella moto e si è andato a schiantare on the road, sulla strada. E dove sennò? L'artista è morto e risorto. Il Dylan gentiluomo di campagna di Nashville Skyline, Self-Portrait e New Morning sta per arrivare, mentre il turbolento cowboy zingaro che avrebbe messo a ferro e fuoco la provincia americana con la Rolling Thunder Revue è ancora lontano, e allo stesso modo quello sessista, quello cristiano, quello discotecaro, quello anziano.
Quali pecche ha The Bootleg Series Vol. 11? Un costo elevato (si va dai 92 di Amazon ai 132€ in negozio), senza dubbio. Elevato e anche irrispettoso per i fans. Ma è confezionato ad arte, curato in ogni minimo dettaglio filologico e contenente tutto quello in cui un dylaniano o un dylaniato o un dylanista possono credere. E cioè che "queste canzoni che parlano di innamorati che diventano oche, di rose che escono dalla testa della gente e di cigni che diventano angeli non moriranno mai". E Dylan (e la Band, e con loro chissà quanti altri) hanno raccolto "quel mistero, pieno di contraddizioni. E caos, cocomeri, orologi". Perchè è vero: "C'è di tutto nella musica tradizionale. Non ha bisogno di essere protetta, perchè è troppo irreale per morire. Ha a che fare con la purezza. La sua insignificanza credo sia sacra".
E poi c'è chi deve ancora realizzare che l'undicesimo volume della The Bootleg Series dylaniana presenta davvero tutte e centotrentanove le canzoni registrate dallo "zio Bob" con The Band fra il febbraio e la primavera del 1967. Canzoni eterne, idee di canzoni popolari, frammenti poetici, filastrocche, ballate, standard blues, richiami politici, country da top-ten involontario, suoni e qualcosa che non è ancora o soltanto musica. Gli artisti che si ritrovano a muoversi in questa lowland del rock sono il Bob Dylan del 1967 (convalescente dopo l'incidente in moto del '66 e, per dirla con Allen Ginsberg, "padre di famiglia e uomo") e i Levon & The Hawks, il complesso canadese che lo ha accompagnato nell'ultimo tour mondiale e che adesso ha cambiato nome in The Band. Dylan abita con la moglie Sara e i figli a Woodstock, quieta cittadina bucolica dello stato di New York. Nei boschi circostanti, trova spazio una grande casa di campagna denominata "Big Pink House": viene affittata e la cantina viene adibita a studio di registrazione. Inizia così l'avventura dei Basement Tapes, il risultato di un'esplosione creativa di lunga durata e inestimabile valore: brani registrati alla buona, testi oscuri e spesso privi di un definitivo messaggio, tracce praticamente incollocabili nel mercato discografico della fine degli anni '60. Dalle prime sessions (dischi 1, 2 e 3 dell'edizione Complete) saltano fuori arrangiamenti di famosi traditional di qualunque genere (la traccia di apertura Edge of the Ocean è un vecchio canto di marinai) e cover di grandi artisti di un passato più o meno recente (fra i tanti, Hank Williams, Johnny Cash, John Lee Hooker, Curtis Mayfield). Ed è allora che Dylan ricomincia a scrivere testi propri, mentre la Band compone, arrivando a registrare anche dieci demo al giorno. Molti brani (dischi 3, 4 e 5) vedranno la luce primariamente sottoforma di cover incise da altri musicisti (dai Byrds a Peter, Paul And Mary, dai Trinity ai Fairport Convention, fino alla stessa Band), per poi essere rimasterizzati e sovraincisi, in vista della prima selezione ufficiale, nel 1975. Quasi tutte le canzoni contenute qua dentro Dylan le ha cantate una sola volta nella vita, ovvero quando le ha registrate, libero da pressioni, furia, scadenze, tour incombenti e manifestazioni. L'ultimo disco del boxset propone invece una buona fetta di canzoni registrate alla fine di quelle leggendarie sessions e mai emerse- neanche "per sentito dire" -dalla cantina. Il gigantesco librone di centoventi pagine curato da Sid Griffin offre invece una bella selezione di immagini e ottime pagine critiche sullo sviluppo di quella che già negli anni '70 veniva definita "la più grande enciclopedia della musica tradizionale americana".
Il Dylan del 1961-64, quello della canzone di protesta, è lontano anni luce, così come è ormai finita l'incompresa, geniale rivoluzione elettrica del biennio '65-'66: tutto quel gigantesco bagaglio di esperienze viaggiava su quella moto e si è andato a schiantare on the road, sulla strada. E dove sennò? L'artista è morto e risorto. Il Dylan gentiluomo di campagna di Nashville Skyline, Self-Portrait e New Morning sta per arrivare, mentre il turbolento cowboy zingaro che avrebbe messo a ferro e fuoco la provincia americana con la Rolling Thunder Revue è ancora lontano, e allo stesso modo quello sessista, quello cristiano, quello discotecaro, quello anziano.
Quali pecche ha The Bootleg Series Vol. 11? Un costo elevato (si va dai 92 di Amazon ai 132€ in negozio), senza dubbio. Elevato e anche irrispettoso per i fans. Ma è confezionato ad arte, curato in ogni minimo dettaglio filologico e contenente tutto quello in cui un dylaniano o un dylaniato o un dylanista possono credere. E cioè che "queste canzoni che parlano di innamorati che diventano oche, di rose che escono dalla testa della gente e di cigni che diventano angeli non moriranno mai". E Dylan (e la Band, e con loro chissà quanti altri) hanno raccolto "quel mistero, pieno di contraddizioni. E caos, cocomeri, orologi". Perchè è vero: "C'è di tutto nella musica tradizionale. Non ha bisogno di essere protetta, perchè è troppo irreale per morire. Ha a che fare con la purezza. La sua insignificanza credo sia sacra".
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