Return Of The Reaper (Napalm Records, 2014)
★★★
Nei rotoli del Mar Morto si parla dei Grave Digger.
Il Muro di Berlino lo hanno abbattuto i Grave Digger.
I Grave Digger hanno capito il finale di Lost.
Forse sto esagerando, ma, amenità a parte, raramente ho provato una sensazione di coinvolgimento più totale e vicina all'estasi divina di quando, ormai undici anni fa, mi accinsi ad ascoltare Rheingold dei tedeschi Grave Digger. Questo disco- che poi è un sentito omaggio alla saga dei Nibelunghi in salsa power metal -fu recensito piuttosto malamente all'epoca ed è da sempre considerato uno dei peggiori risultati della carriera trentennale della band: tuttavia, al suo interno trovavo tutto ciò di cui avevo bisogno a quel tempo. Musica tutta di un pezzo, chitarroni mandati a barbara velocità, batteria che viaggia al ritmo di un Eurostar, testi che parlano di eroi impavidi, draghi sputafuoco e principesse da salvare. Tutta roba di cui fruire a volume elevatissimo e preferibilmente mentre si compie quell'esercizio sacrale denominato "headbanging".
Oggi il sottoscritto non esercita più la medesima pratica da molti anni per un motivo un po' più prosaico che sarà il caso di svelare una volta per tutte: ho sempre meno capelli e temo che continuando ad ascoltare metallo pesante a manetta e agitando la testa a ritmo accellerà l'inesorabile estinzione del mio cuio capelluto. Non per questo futile motivo, però, ho smesso di seguire personaggi come i Grave Digger, i quali, pur con alcune cadute di stile sparse qua e là, tengono alto lo stendardo del power metal teutonico dal lontano 1980.
Esiste una mitologia metallara- spiegata in celebri canzoni e in alcuni importanti saggi scritti -riguardante i motivi di una passione simile a quella che arde nel cuore del frontman Chris Boltendahl per tutto ciò che odora anche solo lontanamente di mortuario. Infatti, come molte altre famosissime band del genere, i Grave Digger non rinunciano alla loro mascotte scheletrica neanche per questo nuovo Return Of The Reaper, seguito dell'album The Reaper (1993): la protagonista assoluta di tutte queste canzoni altro non è che lei, la Grigia Signora, la Grande Mietitrice, la Morte. E la Morte, in casa Grave Digger, è un'ospite tanto desiderata quanto difficile da gestire una volta che si è messa a proprio agio. Hell Funeral, ad esempio, risulta un classico singolo convincente col suo pianoforte che richiama la Marcia Funebre di Chopin e coi suoi effetti sonori di corvi, temporali e cavalli al trotto, e lo stesso vale per Resurrection Day. I nostri hanno capito che flirtare con generi poco consoni al rigore tedesco quali l'epic o il symphonic metal non li avrebbe aiutati nè a tornare ai fasti di capolavori del passato nè a sviluppare nuove forme di sperimentalismi: e così, ecco che tutta la produzione presenta un notevole e gradito alleggerimento sonoro, oltre ad un palese assottigliarsi della durata media delle canzoni. Certi barocchismi riaffiorano qua e là e i riempitivi fioccano (il disco poteva contare almeno quattro pezzettini in meno), ma la matrice speed dei loro anni d'oro viene sempre mantenuta.
A questo punto vale la pena chiedersi: è un bene o un male recuperare il passato per migliorare il presente? Nel caso di Return Of The Reaper, è un bene: l'album è registrato e confezionato splendidamente da un gruppo di professionisti seri e devoti alla musica come ormai poche band sanno risultare e, al contrario dei suoi diretti predecessori, supera abbondantemente la sufficienza. Questi cavalieri teutonici non hanno cercato il capolavoro nè l'opera maxima pomposa e super-prodotta, puntando tutto su una formula datata ma ancora pienamentre efficace. Molti pezzi sanno di risentito, è innegabile, ma stiamo parlando di una formazione che fa musica da più di trent'anni e vanta una ventina di album all'attivo. Non sono mica i Coldplay!
Oggi il sottoscritto non esercita più la medesima pratica da molti anni per un motivo un po' più prosaico che sarà il caso di svelare una volta per tutte: ho sempre meno capelli e temo che continuando ad ascoltare metallo pesante a manetta e agitando la testa a ritmo accellerà l'inesorabile estinzione del mio cuio capelluto. Non per questo futile motivo, però, ho smesso di seguire personaggi come i Grave Digger, i quali, pur con alcune cadute di stile sparse qua e là, tengono alto lo stendardo del power metal teutonico dal lontano 1980.
Esiste una mitologia metallara- spiegata in celebri canzoni e in alcuni importanti saggi scritti -riguardante i motivi di una passione simile a quella che arde nel cuore del frontman Chris Boltendahl per tutto ciò che odora anche solo lontanamente di mortuario. Infatti, come molte altre famosissime band del genere, i Grave Digger non rinunciano alla loro mascotte scheletrica neanche per questo nuovo Return Of The Reaper, seguito dell'album The Reaper (1993): la protagonista assoluta di tutte queste canzoni altro non è che lei, la Grigia Signora, la Grande Mietitrice, la Morte. E la Morte, in casa Grave Digger, è un'ospite tanto desiderata quanto difficile da gestire una volta che si è messa a proprio agio. Hell Funeral, ad esempio, risulta un classico singolo convincente col suo pianoforte che richiama la Marcia Funebre di Chopin e coi suoi effetti sonori di corvi, temporali e cavalli al trotto, e lo stesso vale per Resurrection Day. I nostri hanno capito che flirtare con generi poco consoni al rigore tedesco quali l'epic o il symphonic metal non li avrebbe aiutati nè a tornare ai fasti di capolavori del passato nè a sviluppare nuove forme di sperimentalismi: e così, ecco che tutta la produzione presenta un notevole e gradito alleggerimento sonoro, oltre ad un palese assottigliarsi della durata media delle canzoni. Certi barocchismi riaffiorano qua e là e i riempitivi fioccano (il disco poteva contare almeno quattro pezzettini in meno), ma la matrice speed dei loro anni d'oro viene sempre mantenuta.
A questo punto vale la pena chiedersi: è un bene o un male recuperare il passato per migliorare il presente? Nel caso di Return Of The Reaper, è un bene: l'album è registrato e confezionato splendidamente da un gruppo di professionisti seri e devoti alla musica come ormai poche band sanno risultare e, al contrario dei suoi diretti predecessori, supera abbondantemente la sufficienza. Questi cavalieri teutonici non hanno cercato il capolavoro nè l'opera maxima pomposa e super-prodotta, puntando tutto su una formula datata ma ancora pienamentre efficace. Molti pezzi sanno di risentito, è innegabile, ma stiamo parlando di una formazione che fa musica da più di trent'anni e vanta una ventina di album all'attivo. Non sono mica i Coldplay!
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