Maximum Overload (earMusic, 2014)
★★
Secondo la concezione leopardiana, la noia è un sentimento nato dalla percezione della nostra stessa incapacità/impossibilità di godere. Non godo, di conseguenza non esisto.
Per esempio: ascolto da un paio di giorni Maximum Overload dei DragonForce, ma non riesco a godere. Peccato, perchè i 240 bpm di The Game mi avevano mandato in brodo di giuggiole con largo anticipo rispetto all'uscita dell'album, ma parliamoci chiaro: questi ordinari ragazzi inglesi a me stanno simpatici, ma mi annoiano molto. Ho iniziato ad ascoltare i loro primi due dischi intorno al 2009, lodando più certi arditi esperimenti sonori che non l'impressionante, iperveloce e martellante stile che li ha resi famosi in tutto il mondo. E mentre Sam Totman (chitarrista e compositore del 98% del repertorio DragonForce) cita gli Slayer o i Sepultura- cioè gruppi essenziali nella crescita umana e culturale del sottoscritto -come fonti di ispirazione per brani quali Defenders o Tomorrow's King, io guardo con scetticismo alla sbornia trash e progressive presa dal gruppo in Maximum Overload. Sarà forse per la produzione di Jens Borgen (per i non addetti, questo distinto trentenne svedese vanta fra i propri album prodotti capolavori di band quali Opeth, Amon Amarth e Paradise Lost, ed è attualmente a lavoro sul nuovo disco degli Angra), sarà per mettere in ulteriore risalto le impeccabili tastiere di Pruzhanov, ma se l'intento dei DragonForce era di riuscire a plasmare un sistema musicale che sembra provenire da una dimensione parallela ci sono riusciti in pieno. Lasciamo perdere i versi di denuncia civile contenuti in molti dei nuovi brani (il disco dovrebbe parlare del flusso ininterrotto di informazioni e martellamenti mediatici a cui le nostre menti sono sottoposte ogni giorno) o le canzonette "da spiaggia" come Three Hammers: Maximum Overload è un disco-mondo, cioè un sistema in cui il mondo non c'è più e delle canzoni fanno in modo di sostituirsi ad esso, e lo fanno seguendo le loro regole, senza doversi preoccupare della percezione di cui esse godranno nel crudele mondo reale. Ma nonostante la squassante polifonia digitale dei brani e la loro raffinata composizione materica e produttiva, gli album dei DragonForce non mi fanno godere e mi annoiano. E perfino in un universo dove le leggi di generi quali il power o lo speed metal (ovvero le fondamenta di questa band inglese) riuscissero a regnare incontrastate, non riuscirei mai a percepire nessuna di queste dieci nuove canzoni come veramente affine.
Perciò giriamo pagina. O meglio, cambiamo disco.
Perciò giriamo pagina. O meglio, cambiamo disco.
Ancora una volta.
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