Fra i molti crimini commessi dai nazisti, il furto dell'intero (o poco ci manca) patrimonio artistico di tutta Europa rimane una pagina non tanto misteriosa quanto poco discussa. Nella realtà, l'operazione Monuments Men coinvolse 350 individui fra storici dell'arte, collezionisti, militari e anche "semplici" intenditori che avevano però buon occhio nel distinguere un falso dall'originale. Al cinema, George Clooney preferisce invece concentrarsi su sei attempati esperti newyorchesi (Clooney, Damon, Murray, Goodman, Bonneville, Balaban), il giovane soldato ebreo di origine tedesca Sam Epstein (Leonidas), il francese Jean-Claude (Dujardin) e la bella guardiana del Jeu De Pomme Rose (Blanchett): questo incredibile cast si muove fra Belgio, Francia e Germania al termine di una guerra già vinta, recuperando capolavori della storia dell'arte, collezioni private, lingotti d'oro, sculture, campane da chiesa.
Pur essendo un film di uomini in guerra (che non è un film di guerra, attenzione), il quinto lavoro da regista di George Clooney lascia non poco spazio alla risata, allo humor sottile e superbamente riuscito, complice anche un cast di caratteristi che riescono a ritagliarsi, ognuno con la propria simpatia e il proprio stile, un posto speciale nel cuore di chi guarda (poi, per me, Bill Murray è sempre un passo avanti a tutti). Stesso esito non viene ottenuto, purtroppo, quando il tono dell'opera diviene bruscamente cupo e malinconico, triste e solenne: fra stornelli natalizi uditi al domani della battaglia delle Ardenne (che poi non saranno mai insulsi come la Piaf udita in Salvate il soldato Ryan) e certe cene parigine a lume di candela (che ricordano un po' Il sangue degli altri di Chabrol) da cui emerge solo che la guerra è più importante dei piaceri della carne (da quando, scusate?), il film brancola un po' fra cliché patriottico-hollywoodiani e facilonerie sentimentali. Clooney continua, sul versante tecnico, ad essere un eccellente e classico regista americano, intento stavolta a fare i conti con il fascino delle tre lingue (un esercizio già ampiamente collaudato da Tarantino) e a omaggiare vecchie pellicole a stelle e strisce quali Il treno di Frankenheimer e Patton generale d'acciaio di Schaffner.
Peccato soltanto che il regista e il fido sceneggiatore Grant Heslov (suo lo script dello stupendo Le idi di marzo) abbiano voluto omaggiare- anche se soltanto alla fine -quei brutti film che andavano di moda nella "democratica" america degli anni cinquanta (e poi ottanta) in cui i russi erano anche più cattivi dei tedeschi, o poco ci mancava. Qualcuno dovrebbe spiegare agli autori che i russi facevano sì pellicole di propaganda e dichiaravano (basti pensare ad Ejzenstejn) dal principio che queste erano da recepire come tali: ma allora come mai questi film non vedevano mai l'americano cattivo al centro della scena? Perchè in un film russo non si è mai visto un americano stronzo? Forse perchè il cinema sovietico contemplava l'esaltazione dell'URSS senza però ricorrere a confronti con altri paesi e altri sistemi di governo. E perchè anche una commedia come Monuments Men del very liberal ex-uomo più sexy del mondo deve cadere su questi meccanismi? Magari quest'estate, in una villa sul lago di Como, i paparazzi fotograferanno un meditabondo George Clooney intento a porre rimedio alle sue lacune culturali, immerso fra bottiglie di vino, un paio di libri di storia e una manciata di film sovietici belli, famosi e reperibili anche su Nowvideo.
Pur essendo un film di uomini in guerra (che non è un film di guerra, attenzione), il quinto lavoro da regista di George Clooney lascia non poco spazio alla risata, allo humor sottile e superbamente riuscito, complice anche un cast di caratteristi che riescono a ritagliarsi, ognuno con la propria simpatia e il proprio stile, un posto speciale nel cuore di chi guarda (poi, per me, Bill Murray è sempre un passo avanti a tutti). Stesso esito non viene ottenuto, purtroppo, quando il tono dell'opera diviene bruscamente cupo e malinconico, triste e solenne: fra stornelli natalizi uditi al domani della battaglia delle Ardenne (che poi non saranno mai insulsi come la Piaf udita in Salvate il soldato Ryan) e certe cene parigine a lume di candela (che ricordano un po' Il sangue degli altri di Chabrol) da cui emerge solo che la guerra è più importante dei piaceri della carne (da quando, scusate?), il film brancola un po' fra cliché patriottico-hollywoodiani e facilonerie sentimentali. Clooney continua, sul versante tecnico, ad essere un eccellente e classico regista americano, intento stavolta a fare i conti con il fascino delle tre lingue (un esercizio già ampiamente collaudato da Tarantino) e a omaggiare vecchie pellicole a stelle e strisce quali Il treno di Frankenheimer e Patton generale d'acciaio di Schaffner.
Peccato soltanto che il regista e il fido sceneggiatore Grant Heslov (suo lo script dello stupendo Le idi di marzo) abbiano voluto omaggiare- anche se soltanto alla fine -quei brutti film che andavano di moda nella "democratica" america degli anni cinquanta (e poi ottanta) in cui i russi erano anche più cattivi dei tedeschi, o poco ci mancava. Qualcuno dovrebbe spiegare agli autori che i russi facevano sì pellicole di propaganda e dichiaravano (basti pensare ad Ejzenstejn) dal principio che queste erano da recepire come tali: ma allora come mai questi film non vedevano mai l'americano cattivo al centro della scena? Perchè in un film russo non si è mai visto un americano stronzo? Forse perchè il cinema sovietico contemplava l'esaltazione dell'URSS senza però ricorrere a confronti con altri paesi e altri sistemi di governo. E perchè anche una commedia come Monuments Men del very liberal ex-uomo più sexy del mondo deve cadere su questi meccanismi? Magari quest'estate, in una villa sul lago di Como, i paparazzi fotograferanno un meditabondo George Clooney intento a porre rimedio alle sue lacune culturali, immerso fra bottiglie di vino, un paio di libri di storia e una manciata di film sovietici belli, famosi e reperibili anche su Nowvideo.
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