Arrivato a settembre, ho fatto una certa fatica ad accettare di essere ancora vivo. Vivo e pure relativamente vegeto.
Nessuno magari ne avrebbe dubitato, ma io sì. Da abile imprenditore nell'arte del fallimento, ho avuto bisogno di scontrarmi col vuoto, di uscire dal blu per entrare nel nero: una volta là, le soluzioni non sono molte, tutte le scelte si riducono a una sconcertante binarietà e l'unico conforto arriva da bislacche e paradossali forme di speranza.
A fine luglio ho intravisto, di nuovo, una certa luce e ho capito che in me abitava ancora un'anima fresca e smaniosa. Agosto è trascorso fra massacranti ritmi di lavoro, orari sbagliati, ondate di euforia, ore di infinita tristezza e un fiume in piena di parole scritte e dette che si è portato via un mese dove la sopravvivenza è stata l'unico, vero obbiettivo.
La felicità c'è stata e ovviamente ha sempre avuto la voce e l'aspetto di una donna, magari accompagnata dalla giusta luce, dai giusti sapori, dalla giusta colonna sonora. Come Nello in Thrasher, ho speso tempo cercando i miei compagni in un canyon di cristallo, poi ho capito che per molti di loro non c'è davvero più niente da fare. E così ho fatto l'ennesimo pieno alla macchina (con la carta di credito, ovvio) e sono partito diretto dove l'asfalto diventa sabbia, con in tasca un biglietto di sola andata verso la terra della verità. E se è ancora presto per avvistare il motel dei compagni perduti, quello con la piscina riscaldata e il bar, o per sapere so se anche io finirò col tirare dritto verso il mio filare da zappare (la vendemmia inizia in questo periodo) attraversando biblioteche, musei, stelle e galassie, sono altrettanto certo che il tempo in cui dare a qualcuno ciò che è mio è arrivato ed è ora.
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