Neil Young,
The Visitor
(Reprise Records, 2017)
★ ★
In breve. Faccio fatica a comprendere la natura di The Visitor, trentottesimo disco in studio di Neil Young. Non è per la sua bruttissima copertina, nè per la scelta dei Promise of the Real come backing band (a loro, ormai, tocca rassegnarsi), ma proprio per le motivazioni che spingono, da tre lustri abbondanti, un fuoriclasse del calibro di Young a prodigarsi in pubblicazioni scialbe, prive di spessore, mediocri. The Visitor, parimenti a Earth, Monsanto Years, A letter Home, Storytone, Fork in the Road, Chrome Dreams II o Living with War, non sembra destinato a lasciare il segno nella produzione della terza età del canadese. Capisco anche che non si possa pretendere, da una rockstar settantenne, un Prairie Wind l'anno, un secondo Le Noise o un ulteriore, incredibile, doppio come Psychedelic Pills. Ma allora che senso ha, per un legacy artist che da tempo "promette di regalare oceani", illudere e deludere il proprio pubblico con dischi in tutto e per tutto simili a un lungo riempitivo? Certo, Carnival è talmente inconsueta (per Young, non per Ry Cooder o i Los Lobos o i Doors) da risultare perfino accattivante a un primo ascolto: fosse durata meno, sarebbe stata perfino bella. Change of Heart ora conquista (l'unica a riuscirci), ma fra un mese ce la farò ad ascoltarla senza rompermi i coglioni? Vorrei sottolineare che amo Neil Young: senza i suoi album del periodo 1969-1979 (nessuno escluso) potrei vivere, ma vivrei male. Anche Deja-vù, Four Way Street (inarrivabili esempi del sodalizio con Crosby, Stills e Nash) e Long May You Run (a firma Stills-Young Band) mi hanno aiutato e continuano tuttora a farmi galleggiare meglio nelle acque torbide dell'esistenza. Tuttavia, sono cinque anni che non compro un suo album "nuovo", perchè non ne trovo il senso. Passa dall'Italia, tiene concerti che sembrano pure essere molto belli, ma non vado a sentirli, perchè mi evito volentieri il cordoglio di vederlo capitanare una squadra di pischelli, una band dal basso profilo e priva di personalità. So che l'ha scelta lui, ma è una scelta che non mi sento di condividere, specie dopo aver ascoltato i desolanti risultati discografici degli ultimi due anni. Neil resta un gigante, per la sua statura musicale, per il suo songwriting, per
la sua concezione di come debba essere il suono di una chitarra, per la
sua idea di rock in senso stretto. Ma The Visitor è fonte di imbarazzo sia per lui (che lo ha scritto), che per noi (che lo ascoltiamo).
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