UN
APPETITO DI DISTRUZIONE.
''Quando ero piccolo, la sera me ne
stavo sul letto, ascoltando mio padre che continuava ad ubriacarsi mentre
urlava contro a mia madre.
Louis Jordan, T-Bone Walker, Big Joe Turner, queste
persone mi hanno salvato la vita. Adesso parlo con altri ragazzi e per loro c'è
Elvis, c'è Little Richard, c'è Bill Haley.
Ogni generazione è piena di ragazzi
sperduti che hanno bisogno di sentirsi dire che non sono soli.''
Richie
Finestra (Bobby Cannavale), Vinyl, stagione 1, episodio 10
Mi corico che
ormai è scesa la sera. Sono in quell'età strana in cui non si è nè carne nè pesce,
i muri della mia camera sono intonsi.
Neanche mezzo poster di una moto da cross, sicuramente lo sguardo vigile di Tex
Willer veglia da qualche parte, eroi dei videogiochi, due mazzi di Magic e
nessuna squadra di pallone. Non posso immaginare che tra non molto quei muri
non saranno sufficienti a ospitare tutti i poster di gruppi rock che
avrò modo di ascoltare.
Domani a scuola
chissà se il Paz interroga. Non ho studiato tanto e un po' questo ginnasio mi
preoccupa. Ripenso alla terza declinazione greca, prima che la mente si liberi
e voli via. Chissà come sarà andato il compito in classe, chissà quando avrò
finito di mettere da parte i soldi per un nuovo compact degli Iron, chissà se e
quando diventerò davvero amico di alcuni compagni di classe. Poi arriva
un ''chissà'' che non conosco, quello che mi fa stare con gli occhi aperti,
quello di cui mi sfuggono i reconditi significati. Anche solo quattro, cinque
anni dopo lo avrei definito un blues, ma intanto io del blues non
so niente e i miei ''chissà'' rimangono lì. Non riesco a comprendere che,
probabilmente, è il ''chissà'' di come sarà la mia vita quello su cui sto
fantasticando; certo, intuisco già il senso del blues, ma ancora non lo
capisco.
Sono già passati
alcuni mesi dal mio ingresso al Liceo e fra pochi giorni partiamo per la gita.
Due giorni a Torino, città da poco insignita dell'onere di ospitare le prossime
Olimpiadi invernali e dunque venuta di gran moda. Il programma prevede visite
al Museo Egizio e alla Mole Antonelliana, una puntata al Lingotto e una girata
alla biblioteca comunale, dietro una delle cui teche è custodito l'autoritratto
di Leonardo. Ci accompagna il Paz, persona che sto vedendo quasi più spesso dei
miei genitori (diciotto ore alla settimana) e che un po' somiglia ad un secondo
babbo. Entrambe le quarte ginnasio della sezione classica del Liceo ''A.
Volta'' partecipano alla gita, ma sono classi diverse: composta e obbediente la
B, anarchica e spontanea la A. Io, ovviamente, sono nella A. Le circolari in
cui la scuola si esonera da ogni responsabilità sono state firmate, la quota
dell'autobus e del pernottamento è stata versata e il giorno della partenza è
vicino. Per l'occasione, mi regalano uno zainetto blu Invicta, tanto pratico
quanto anonimo (lo personalizzerò nell'arco dei due anni successivi), ma non
importa: mi basta che possa contenere il mio lettore cd portatile Panasonic
nuovo di zecca (continuo a chiedermi perchè, quando sono andato a comprarlo in
negozio a Firenze, abbiano voluto regalarmi a tutti i costi una miniatura della
nuova Ducati Monster), l'acqua e qualche schifezza da mangiare. Non fumo, non
bevo e non mi drogo. Almeno, non ancora.
Una sera di metà
marzo sto facendo zapping. La fase Tele+ a scrocco è già superata;
nessun buon film su ''mamma Rai'' (e il digitale terrestre è ancora soltanto un
sogno); le reti filogovernative del governo più filotelevisivo della storia
della Repubblica vengono saltate a pie' pari. Mi soffermo su MTV, dove nessuno
pronuncia la parola ''Iron Maiden'' nell'arco di sei minuti: provo pena per
l'intero network e cambio di nuovo canale, approdando all'esotico e
libero continente delle reti commerciali. Mi soffermo sul diciottesimo canale,
Europa 7, dove Charles Bronson sta sparando a dei tipacci in una piazza di
qualche paesello mediterraneo. Le revolverate vengono interrotte soltanto dalla
pubblicità, ed è allora che succede.
Succede che nel
salotto di casa mia irrompe una voce stridula, incazzata, rabbiosa,
indimentciabile, apocalittica. Non una voce rassicurante, come quella del
cantante dei Nickleback, nè pulita come quella di Bruce Dickinson, così
perfetta nella dizione da professorone di Sua Maestà. Un tizio con una bandana
e dei capelli rossi- a sequenze lisci, a sequenze cotonati -salta su un palco a
colori e danza in una stanza in bianco e nero. Ho da poco imparato la
differenza fra una chitarra e una Gibson Les Paul e quel tale con il cilindro
in testa e una cofana di riccioli neri sta, giusto appunto, suonando una Les
Paul. Un batterista biondo platino e un bassista che sembra suo fratello
vengono ripresi da più angolazioni. Un altro chitarrista, con una strana sei
corde bianche e una postura che ricorda Keith Richards, ondeggia qua e là. Il
cantante nuota con dei delfini mentre il montaggio sonoro passa due, tre,
quattro canzoni di fila e quella stessa voce cambia sensibilmente e si
interrompe. Il ricciolone esce da una chiesetta con i Ray-Ban infilati nella
zip del suo chiodo di pelle nera e il suo cappello vola via. Impugna la
chitarra e suona un assolo che mi sconvolge. Cerco brevemente mia madre per
dirle che, se mai un giorno mi sposerò, sarà in quella chiesa nel deserto. Il
volume si abbassa e lascia spazio ad una voce che somiglia a quella fuoricampo
dei documentari di Quark e che- mentre sullo schermo si staglia un quadrato
argentato con al centro due pistole incrociate e delle rose -bofonchia qualcosa
del tipo <<I Guns N'Roses... la leggenda raccolta in un unico cd... Guns
N'Roses, Greatest Hits... in tutti i negozi a partire dal 24
marzo>>.
Tutto questo dura una quarantina di secondi. Pareti, divano,
televisore e salotto spariscono. Rimango solo col nuovo scopo della mia vita:
cercare e comprare tutto ciò che la band che ho appena visto in quello
spot ha prodotto.
Il pomeriggio
del giorno prima della partenza per Torino, accompagno i miei a fare la spesa.
Insisto perchè parte dei loro risparmi vengano devoluti alla Ferrero, poi mi
rompo e decido di andare a fare un giro per conto mio. Uscendo
dall'ingresso principale della Coop, attraverso la strada e in tre minuti sono
al negozio di dischi, a spulciare la fila dei compact corrispondente la lettera
''G''. Non guardo neanche quanti dischi dei Guns N'Roses trovano spazio negli
scaffali: per me, possono averne pubblicati anche una quarantina; tanto conto
di passare il resto dell'esistenza a comparli. Una copertina nera con una croce
e cinque teschi simpatici e molto particolari disposti alle estremità e al
centro della croce stessa è la prima cosa che vedo. Dieci eurini e Appetite
for Destruction è mio per sempre.
Arrivo a casa
che è già ora di cena, dopodichè scarto l'ultimo acquisto, sfoglio il libretto
e rigiro fra le mani il cd più e più volte. Ho una sorellina di sei mesi e già
alle nove e mezza non potrei mandare lo stereo al volume desiderabile. Tutta la
musica va ascoltata alta, ma la musica nuova va ascoltata altissima. Poco male.
Domattina presto parto per Torino: lo sentirò in viaggio.
Sono le sei e
mezza ed è ancora buio. Un sontuoso autobus da turismo Mercedes sosta nel
piazzale di fronte alla scuola. Dei quarantadue allievi delle due quarte
ginnasio partecipano alla gita in quaranta. Ci accompagnano tre professori.
Abbiamo tutti zainetti più piccoli e pratici di quelli che siamo soliti portare
durante l'anno. Alle solite raccomandazioni (inutili) dei genitori fanno eco le
solite rassicurazioni (altrettanto inutili, ma doverose) degli insegnanti. C'è
chi, a dispetto dell'ora, è già vestito di tutto punto, in particolare fra le
ragazze. La nostra compagna Chiara ha addirittura cambiato acconciatura e per
l'occasione sfoggia una frangetta inedita e un capello doviziosamente
piastrato. La professoressa tutor della sezione B- una sezione composta
da diciannove femmine e due maschietti -arriva con leggero ritardo, anticipata
dal proverbiale rumore dei suoi tacchi. Lei e il nostro anziano docente di
matematica, consumato velista che ama definirsi prossimo alla pensione, si
concedono il piacere di una Rothmans slim, mentre il Paz, uomo dai gusti
semplici e lontano dai vizi, fa l'appello per entrambe le classi. Lasciamo la
scuola che non sono ancora scoccate le sette, mentre i genitori salutano, si
sbracciano e quasi rincorrono l'autobus.
Io e Marco ci
mettiamo accanto: una regola che osserveremo in ogni gita, scolastica e non.
Chiacchieriamo a voce non troppo alta per una quarantina di minuti e più o meno
a Firenze Certosa ci zittiamo. Lui sonnecchia, io guardo la coltre di nebbia
lasciare spazio al sole mentre l'autobus si immette sull'A1. Tiro fuori dallo
zainetto il lettore cd portatile, le cuffiette e la cd bag Tucano Urbano
riempita solo in minima parte. Infilo Appetite for Destruction e lascio
che il riff con cui si apre Welcome to the Jungle mi sconvolga
per sempre la vita.
Nati nel 1985
dall'incrocio fra gli Hollywood Rose e gli L.A. Guns, due complessi piuttosto
noti nel panorama underground losangelino, i Guns N'Roses della prima
ora sembrano essere stati prelevati da una camionetta della nettezza urbana
che, senza neanche ripulirli, li ha portati di filato in sala di registrazione
a incidere uno dei più grandi capolavori della musica rock. La voce
meravigliosa di Axl Rose si sposa magnificamente sia con la maestria
chitarristica di Slash, sia con una sezione ritmica potente e pulsante come un
treno notturno (un Nightrain, per l'appunto); le melodie di Izzy Stradlin
si rifanno alla grande lezione del punk e ai Rolling Stones di Sticky
Fingers. Un disco che è la messa in scena della Los Angeles periferica
degli anni '80, delle sue contraddizioni e dei suoi eroi emarginati, di
un'America a metà strada del secondo mandato di Reagan, piena di dubbi ed
eccessi. La vita dei bassifondi di Welcome to the Jungle, le prostitute
di It's So Easy, i festini estremi di Nightrain, l'esperienza
carceraria e il rifiuto dell'istituzione di Out Ta Get Me, le cronache
eroinomani di Mr. Brownstone, l'epica preghiera sospesa fra sacro e
profano, fra santi e peccatori, fra Capitan America e un hobo qualsiasi,
di Paradise City, l'esilio dalla normalità apparente di un'intera
famiglia in My Michelle, le pulsazioni di un amore giovane, masturbatorio
e spensierato di Think About You, la poesia dedicata ad un angelo venuto
da un altro mondo di Sweet Child O'Mine, lo scherzetto dal vago sentore
sadomaso di Anything Goes, la follia rassicurante di You're Crazy
e l'inattesa, disperata implorazione con cui si conclude quell'estremo atto di
libidine che è Rocket Queen:
''Non lasciarmi mai/dì che sarai sempre lì/
tutto ciò che ho sempre voluto/ era per te/ per farti sapere che io ci tengo".
[tratto da Gli anni selvaggi, libro che pubblicherò prima dei miei trent'anni.]
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