Dream Theater,
The Astonishing
(Roadrunner Records, 2 Cd, 2016)
★★★
Una delle diramazioni più significative e di maggior successo nella storia del Metal fu quella più tardi battezzata Progressive Metal. Il metallo progressivo nacque nel 1986 dalle ceneri calde della NWOBHM. Nello stesso periodo i confini della musica metal si ampliavano attraverso la sperimentazione e nascevano i sottogeneri: trash, death, black, street, noise. Fino a quel momento le radici dell'Heavy Metal erano state saldamente piantate nell'hard rock di matrice classica, ma uno dei nuovi assiomi del genere ad imporsi a metà anni Ottanta era la contaminazione: con il jazz, con la musica classica, con la musica world, perfino col pop e col folk. Come già successo nel Progressive dell'età classica (King Crimson, Pink Floyd, Genesis, Yes, Rush), l’importante era abbattere gli steccati: la musica, pur nella sua costituzione metallara, non doveva più necessariamente essere modellata in una forma canzone, non doveva più necessariamente durare i tre o quattro minuti di un 45 giri o di un cd single, e il suo scopo principale non doveva più essere quello di finire nella classifica di vendita o di ottenere un video da mandare in rotazione su MTV. L’idea era piuttosto quella di un Heavy Metal pensato all'insegna dell'arte, dell'impegno, del virtuosismo e dei tempi dispari.
I gruppi di punta risultarono essere, sin da subito, quelli dei veterani Savatage e dei giovani Majesty, che nel 1987 cambiarono nome in Dream Theater, su suggerimento del padre del loro batterista, Mike Portnoy. Questi ultimi furono lanciati dalla MCA col ''difficile" When Dream And Day Unite (1989). La formazione non offriva più il tipico ''quadretto'' di basso, batteria e chitarre elettriche, e mentre diventavano co-protagoniste le tastiere, facevano la comparsa effetti sonori inusuali come flauti, violini più o meno elettrificati e redivivi sintetizzatori (primo fra tutti il Moog). La primavera del Progressive Metal sarebbe durata un lustro, a partire da Hall Of The Mountain King (1987) dei Savatage, No Exit (1988) dei Fates Warning e, appunto, When Dream And Day Unite dei Dream Theater, per poi approdare in Europa grazie ai tedeschi Dreamscape, agli svedesi Pain Of Salvation e Opeth, e perfino in Sud-America, grazie ai brasiliani Angra. Dopo l'arrivo di grandi e geniali band che rispondevano ai nomi di Tool e Dark Tranquillity (e che non si limiteranno a pascolare nell'orticello del Progressive), la spinta propulsiva di questa variante evoluzionistica del metal si adagiò sul suono kitsch dei sintetizzatori e sulla velocità di esecuzione di tastieristi e chitarristi, fino a insabbiarsi nelle secche della noia e del virtuosismo, ed essere spazzata via dal giorno alla notte- come già accaduto ai famosi "dinosauri" uccisi dalla new wave e dal punk -dal ritorno a forme più essenziali (i radiofonici Shadow Gallery fungono da valido esempio) e da una miriade di altri sottogeneri più popolari, semplici o modaioli.
È paradossale come la cosiddetta scena nu-progressive metal, comparsa nel nuovo millennio, sia in realtà quanto di più palloso e lontano si possa immaginare dalle motivazioni di partenza del metallo progressivo. La stragrande maggioranza dei gruppi nu-prog (e, paradossalmente, anche una buona fetta delle band storiche ancora in attività, Dream Theater su tutti) non sperimenta nulla, ma si diverte a suonare avvitandosi in un lunghe suites pretenziose e barocche, i cui ingredienti sono melodie banali, power metal di bassissima lega e virtuosismo strumentale. Una musica da nerd di fronte alla quale non c’è da sorprendersi che la parola progressive evochi al tempo stesso nostalgia e sorrisi di compatimento.
Ma così non era nei magici anni in cui i Dream Theater sfornarono album come Images And Words, Awake, A Change Of Season, Falling Into Infinity, Scenes From A Memory e Train Of Tought, dischi con cui John Petrucci e soci si guadagnarono rispetto e autorevolezza. Quelli che fra il 1989 e il 1992 fissarono le regole del progressive metal, ispirando i percorsi creativi di tanti altri grandi gruppi al di là e al di qua dei due oceani. Gli stessi che si abbandonarono, fra il 1997 e il 2008, a una serie di esperimenti paralleli solisti o di gruppo; progetti che hanno offerto alternative validissime, ma che sono serviti soprattutto ad allungare il brodo di un'ispirazione calante, come dimostrava già Octavarium (2005). Nel 2009 è stato dato alle stampe l'ultimo disco dei Dream di ottima qualità, ovvero Black Clouds & Silver Linings, che sembrava però destinato a rappresentare il canto del cigno della band. Mike Portnoy, infatti, pareva aver perso la voglia di giocare al batterista prog per eccellenza dichiarando ufficialmente la propria uscita dal gruppo. Era il 2010, la band restò unita e, per quanto i fans più incalliti possano starsene ore a sproloquiare su assurdi confronti, la sostituzione operata con Mike Mangini aveva in partenza ben poco a che vedere col declino artistico dei Dream Theater. A Dramatic Turn Of Events (2011) e l'insipido, desolante Dream Theater (2013) sarebbero stati mediocri album anche se vi avesse suonato la batteria il fantasma di John Bonham.
Destino ha voluto che John Petrucci- nelle poche ore che la chitarra e il body building gli lasciano libero -iniziasse a scrivere una storia che fondeva 1984, Il trono di spade e Guerre Stellari, buttandoci di mezzo, come pretesto, il Dono (the Gift) della Musica. Da questo soggetto partiva la lavorazione del nuovo, doppio album del gruppo: The Astonishing, rock-opera futuristo-distopica in due atti e trentaquattro brani accompagnata, in sede di promozione, da un videogioco di ruolo che ne presenta trama, personaggi e sviluppi. La stesura dei brani, operata da Petrucci e Rudess, è stata lunga e tortuosa, specie perchè l'astuto John prendeva l’iniziativa di sovrincidere le demo domestiche delle due chitarre con la propria voce, facendone delle canzoni, e poi, non pago, di passare i nastri a James ''Inutile'' La Brie, che apprendeva, obbediva e cantava, allo scopo che anche John Myung incidesse. Infine le trentaquattro scenette, risultato di tanto sforzo, sono state passate al trattamento della sezione ritmica del bisfrattato pellaio Mangini e del direttore di orchestra David Campbell. Insomma, The Astonishing è nato come una di quelle torte a strati, in cui più gusti, sovrapponendosi o possono dar vita ad un unico omogeneo sapore o ad una melassa informe e disgustosa. Le registrazioni, tornate a Petrucci e Rudess, li hanno sbalorditi, portandoli a dichiarare di trovarsi di fronte uno dei dischi dei Dream di cui vanno più fieri.
Il disco non è affatto male. Anzi, in questi tempi di scarsità, è pure piacevole. Certo, gli uggiosi nerd che non escono di casa per studiare gli effetti della pedaliera di Jordan Rudess e che magari non hanno mai ascoltato mezza canzone dei Van Der Graaf Generator prenderanno colore e palpiteranno, ma resteranno a bocca asciutta per quanto riguarda le consuetudini virtuosistiche di Petrucci, che forse si era venuto a noia da solo. Per le parti cantate La Brie non rompe troppo l'anima, mentre David Campbell può dirsi, in un certo modo, il ''sesto elemento'' del disco, con una direzione dei motivi orchestrali sobria, mai sperimentale o ardita e anzi molto orecchiabile. Mangini ha finalmente conferito al suono delle proprie pelli un'aria moderna con la sua batteria agli antipodi di quella che suonava nei due album precedenti e più vicina- deo gratias -a quelle degli anni Settanta a cui il disco sembra maggiormente ispirarsi.
I fans hanno accolto la colossale sorpresa a corrente alternata: quelli del suono più scuro e technical dei Dream anni Duemila hanno storto il naso, i nostalgici di A Change Of Seasons e di Scenes From A Memory hanno apprezzato. Io sono, per la prima volta dopo diversi anni, con Petrucci: il disco non sarà un capolavoro, ma è di una pregevole fattura e di una rara piacevolezza. Potrebbe lasciare sperare in un intero nuovo capitolo per la banda del Teatro del Sogno, considerando che, di regola, i cicli creativi di Petrucci&co. vanno di dieci anni in dieci anni.
Sul disco non mi pronuncio, non l'ho sentito e conto di arrivare a 90 anni così, mi stupisce solo che, nel preambolo, tu non faccia il nome della band che per prima fu definita prog metal: i Queensryche! :)
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