sabato 7 novembre 2015

Francesco De Gregori, "Amore e furto" [Suggestioni uditive]

Francesco De Gregori,
Amore e furto
(Sony Music, 2015)
½















Che De Gregori fosse il nostro (piccolo) Bob Dylan lo hanno sempre detto in tanti, sin dal suo apparire sulle scene, nei tardi anni Sessanta. I numerosi ingredienti provenienti dalla musica e dalla scrittura dylaniane si tramutarono, sin dai tempi di Alice non lo sa (1973), in piacevoli sfumature, piuttosto che ripiegarsi su se stessi e dare luogo a omaggi o covers. Una gradita eccezione fu rappresentata da Atlantide: musica di Dylan (quella di Three Angels), testi (notevolmente migliori di quelli di Three Angels) di De Gregori. Già la posteriore Se la vedi dille ciao- una If You See Her, Say Hello tradotta alla buona e riarrangiata -dimostrava sì l'amore per Dylan da parte del cantautore romano, ma pure poteva apparire forzata e leziosa. 
Oggi che De Gregori al massimo si concede di rivisitare e riesumare il proprio catalogo (Vivavoce, tanto osannato, è solo un rimpasto), l'idea di cantare esclusivamente cover del suo idolo potrebbe apparire moderna e, per molti versi, conturbante. Amore e furto ruba sin dal titolo (Love and Theft) e di nuovo ha (e fa) assai poco, eppure coinvolge e sa farsi piacere in più momenti. Alla fine degli anni ottanta, già Tito Schipa Jr. aveva realizzato un album di cover italiane di Dylan (Dylaniato), ma non è questo il punto. Il punto riguarda, al massimo, la necessità artistica e culturale di un disco come Amore e furto nel 2015, quando oramai la lista di tributes dedicati al Menestrello di Duluth è assai fitta: quelli di Odetta James (Odetta Sings Dylan), Brian Ferry (Dylanesque), Jerry Garcia e la sua band (Garcia Plays Dylan), la Charlie Daniels Band (Off The Grid: Doin'it Dylan), Steve Howe (Portraits Of Bob Dylan), Jamie Saft (Trouble: The Jamie Saft Trio Plays Bob Dylan) e i Mountain (Masters Of War) rappresentano solo una minima parte dei tentativi di affrontare la poetica dylaniana.
Amore e furto ripropone, dalla sua, una scelta davvero lodevole e oculata di brani dello sconfinato repertorio del Menestrello: intanto, sono quasi tutti pezzi posteriori agli anni Sessanta e, in alcuni casi, si tratta di canzoni confluite posteriormente nei bootleg. Un angioletto come te è una Sweetheart Like You suonata con una strumentazione tradizionale, senza la batteria elettronica e le morbide chitarre elettriche di Knopfler e Taylor presenti su Infidels. In quanto primo singolo estratto, mi ha parecchio deluso sulle prime, ma ad ascoltarla meglio si capisce di come il Principe abbia deciso di marcare i toni sociali che permeavano una buona fetta dei testi del 1985. Coraggioso rivisitare il Dylan cristiano di Slow Train Coming (l'unico disco della "trilogia della rinascita" che merita acquisto, ascolto e incenso), specie da parte di un laico ex-comunista romano qual è De Gregori: Servire qualcuno gode di un arrangiamento eccellente, ma la traduzione mi ha lasciato perplesso. Già che ci sono, dico lo stesso di Mondo politico (piacerà tanto ai lettori del Misfatto Quotidiano, quello sì), Una serie di sogni e Come il giorno (una I Shall Be Released suonata, mi pare, sulle note di Brownsville Girl). I risultati migliori arrivano da Via della povertà (il confronto con quella di De Andre' è inevitabile, d'accordo, ma stavolta è anche meglio), Non è buio ancora e Dignità. Particolare e originalissimo sul piano delle liriche anche Acido seminterrato, ma nemmeno questo gran capolavoro.
Fra pochi giorni compio ventisei anni. Potrei migliorare tantissime cose e lavorare molto su me stesso, e proprio per questo non mi metto a sparare sentenze su come De Gregori doveva affrontare la sua terza età, specie sotto il profilo artistico. Però una cosa devo dirla: era meglio quando era un misantropo.

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