COSÌ
LONTANO DA CASA
E'
così piacevole sentir scorrere le gocce di ghiaccio appena disciolto
lungo il collo. Mi torna in mente il modo in cui, ad una festa di
tanti anni fa, strizzasti quei limoni non ancora maturi e mi leccasti
dall'orecchio alla spalla.
Ma
erano altri tempi. Di uguale, oggi, c'è solo il caldo e nient'altro.
C'è
anche il mio vecchio pediatra a bere birra gelata in un angolo, e
andiamo d'accordo: facciamo entrambi finta di non conoscerci, e
tiriamo giù altre due belle sorsate, all'unisono, senza neanche
guardarci, senza un piano prestabilito.
Passo
il dito sull'etichetta della birra, che inizia a staccarsi a causa
dell'umido e di una miriade di altre reazioni chimiche di poca
importanza che, per fortuna, non capirò mai. Domando a me stesso se
ti ricordi di quella mattina in cui il sole splendeva e noi
iniziavamo a bere prima del solito. Ci amavamo, è vero, ma iniziai
allora a chiedermi se tu fossi cambiata, se i tuoi capelli fossero
ancora dello stesso colore di quando li avevo annusati la prima
volta. Lo dicevano in tanti che in coppia, per noi, sarebbe stata
dura, perchè non ci erano mai piaciuti i vestiti fatti in casa, le
marmellate e i conti in banca.
Ora
la radio urla le ultime notizie. Il disc-jokey sembra divertirsi come
un matto a maltrattare chi telefona, il che è come mordere la mano
che ti nutre. Basta un cenno e nessuna parola perchè Gioia venga,
raccolga la mia bottiglia vuota, ne tiri fuori una uguale dal frigo,
la appoggi sul bancone e la stappi. Ed ecco che arrivano quei pochi
secondi di euforia giovanile.
Riaffiora
quella scura e triste notte in cui ti voltasti a guardarmi col volto
solcato dalle lacrime, mentre me ne andavo forse per l'ultima volta.
<<Vorrei dirti tutte le cose che non ho mai saputo dirti...>>,
o roba del genere.
Gioia
continua a lavorare sotto una luce accecante, fastidiosa quasi quanto
il caldo là fuori sulla strada. Volto la testa e butto un'occhiata
sull'asfalto rovente, poi torno composto, a vedere la sua carnagione
pallida e a concludere la bevuta. Saranno già sei o sette ore che è
qua, e decido di raccontarle una barzelletta. Ho la voce roca
ultimamente, e i toni sono bassi, dunque deve venirmi vicino per
ascoltare. Racconto la mia storiella, e nel farlo mi accorgo che non
sento più vibrazioni, odori, battiti cardiaci.
La
stessa sensazione provata poco dopo essere rimasto da solo, negli
anni in cui vivevo in città e per dipingere dovevo scendere in uno
scantinato puzzolente. C'era la neve, quell'inverno, ed ero senza
riscaldamento, ma non importava: dipingevo con l'uccello più che con
le mani. Sapevo che qualcosa dentro di me era morta, avevo in bocca
il peggior sapore che avessi mai sentito e non ricordavo se il mondo
fosse piatto o tondo. Ma ero me stesso.
E
ora sto di nuovo tornando indietro.
La
mia barista di fiducia sta ancora ridendo per la barzelletta, così
la riporto alla realtà bruscamente, tenendo un discorso sul perchè
le persone- e più in particolare, le donne -dal destino incerto
siano le migliori. Gioia dice di non farsi problemi, che tanto
<<sfatto un letto, si salta in un altro>>. Salto a
conclusioni affrettate, dicendo che tutti siamo maestri
dell'illusione ma, paradossalmente, soffriamo di fronte alle grandi
delusioni.
In
realtà, io sto male dentro: nulla di più semplice.
Pago
il conto, tiro su i jeans, metto il cappello, mando un bacio, esco
dal locale, cammino in direzione del sole.
Sento
il calore investirmi come un treno merci. Osservo il campo oltre la
strada: è immobile e non c'è un filo di vento.
Tanti
campi fa, sedevamo accanto, la schiena appoggiata su una balla di
fieno e il sangue che scorreva a fiumi nelle vene. Il cielo stava
diventando scuro, ti detti la mano e tu sentisti un brivido
attraversarti la schiena. Eri ancora un po' confusa, ma felice.
Non
come adesso, a camminare in salita, per una strada provinciale vuota
come Roma a ferragosto. Ho lasciato il bar da appena dieci minuti, ma
grazie alle mie gambe lunghe sono già arrivato di fronte
all'ennesimo podere trasformato in affittacamere. La verità è che
non ricordo quanto lontano ho lasciato la macchina. Dunque mi fermo,
tolgo il cappello e passo la mano sui capelli sudati. Do un'occhiata
in giro: l'albergatore tiene il neon acceso anche di giorno, mentre
il figlio si esercita col sassofono e la moglie cammina nervosamente
sotto il portico, unica zona d'ombra nel raggio di chilometri. Mi
guarda come se volesse chiedermi <<Hai visto mia figlia?>>,
perchè so che hanno una bella figlia sui quindici, capelli castani e
con due belle tette, fresche di qualche mese. Sarà partita presto
col motorino, doveva tornare per pranzo e ancora nessuno l'ha vista.
So come ci si sente.
Anch'io,
ogni tanto, al mattino, mi sveglio in una stanza deserta. La cerco,
ma lei non è da nessuna parte. Spalanco la finestra, ma il vuoto
dentro è incolmabile. Solo il ticchettio degli orologi a ricordarmi
quanto tempo è passato. E lei mi ritroverà ancora una volta, ma il
sapere anche solo questo mi è di poco conforto.
Rimetto
il cappello e faccio un cenno alla signora.
Ora
la strada inizia a farsi più stretta e la vegetazione più folta.
Vedo l'ombra degli alberi e non resisto: entro nel bosco e lascio che
un inatteso senso di pace mi investa. Di questi tempi, una sensazione
simile è un lusso. Tiro fuori dalla tasca posteriore dei pantaloni
il mio portafogli, da cui estraggo la carta di identità. Una foto
sbiadita e qualche dato anagrafico privo di reale valore: basta.
Le
do fuoco, e brucia velocemente. L'ultima cosa che faccio in tempo a
leggere è la data di nascita. Sai che non riesco a credere che
abbiamo vissuto così a lungo e siamo ancora divisi. Il tuo ricordo
mi risuona alle spalle come un treno in corsa. Mi ricordo ancora il
giorno in cui sei venuta da me, giù da quelle colline che
sembravano dipinte,
con
la tua Ford truccata e i tuoi tacchi con la piattaforma alta. Non ho
mai capito perchè tu avessi scelto proprio quel posto per vivere, ma
avevi ragione. La tua pelle era morbida e delicata.
Te
ne sei andata una sera, e non sei più tornata.
Sarei
venuto a cercarti ma non me la sentivo di prendermi una pallottola in
testa.
Avevi una sorta di ritmo oscuro
nell'anima, e questo mi piaceva. Ma
adesso mi trovo sul filo del rasoio e non sono più dell'umore di
ricordare i vecchi tempi, quando ero il tuo uomo, e
neanche il mondo vorrebbe che io li ricordi.
Per
un attimo, penso all'appellativo “mio dolce amore”: è
stucchevole, lo so, ma è vero.
La
carta d'identità è ridotta a un pugno di cenere.
Tiro
fuori il ferro dai pantaloni: sei colpi precisi.
Avanzo
per una trentina di metri e ascolto il rumore dell'acqua farsi sempre
più vicino. Vedo il sole riflettersi sulle canne di metallo, in
direzione dell'altra sponda. Al di là del fiume ci sono fucili
puntati su di me. Se penso a tutto il tempo che possono avere passato
laggiù provo quasi pena per loro, costretti a dormire sulla terra,
aspettando la preda e magari giocando a carte.
Del
resto, non amano che io sia così libero.
Faccio
due passi e cerco di essere rumoroso, almeno sapranno che sono
arrivato. Ci sono occhi dietro gli specchi d'acqua, spazi vuoti oltre
i buchi dei loro proiettili, ombre solitarie che si incrociano
distrattamente in passaggi oscuri.
Me
ne vado da solo. Cammino senza voltarmi indietro, come Orfeo senza
Euridice.
Dicono
che lei avesse saputo dove mi trovavo e quale sarebbe stato il mio
destino: così, negli ultimi mesi, ho sempre dormito con un occhio
aperto, pregando che ogni minimo rumore fosse lei che veniva a
trovarmi. Ma non è stato così, e non è così che mi aspettavo che
sarebbe stato.
Io
confidavo in chitarre che mi dovevano accompagnare oltre il fiume,
negli amici di una vita che venivano a salutare, in vagabondi che mi
vendevano il loro estremo portafortuna, in puttane accorse a fare
avances al mio spirito e alla mia anima. Tutto per un'ultima volta.
E
sempre per un'ultima volta mi sento così lontano da lei.
Sono
sempre stato il tipo di persona che non ama andare oltre il limite,
ma alle volte capita che ti ci ritrovi senza volerlo.
Sai,
mi sento abbastanza bene, ma questo non vuol dire molto. Potrei
sentirmi molto meglio,
se
solo tu fossi qui al mio fianco. E' strano come le cose non vadano
mai secondo i propri piani.
Sono
così lontano da casa.
Nessun commento:
Posta un commento