Posso dire di essere cresciuto in un tipo di società in cui la voglia di raccontare l'Armageddon non è mai venuta meno. Che si sia passati da quella contenuta nei codici miniati a quella sulla homepage di YouTube poco importa: fare annusare alle masse la fine del mondo è una strategia redditizia, di quelle che hanno sempre funzionato.
Ieri, per esempio, la diretta parigina dell'incendio di Notre-Dame è tornata a dimostrare quanto la concreta (e parziale) distruzione di un determinato patrimonio storico-artistico umanitario possa toccare nel profondo (e all'eccesso) le corde di molti, anche di chi certi monumenti non li ha mai visti di persona, di chi non si è mai occupato di storia o di storia dell'arte, di chi non crede in Dio ma crede comunque nella bellezza e, in particolare, di chi non sembra essere in grado di capire che- al di là delle cartoline da immaginario popolare e della nostra mortalità -certi feticci possano essere annientati dalle cause più disparate. Esaltare nel corso della medesima settimana una fotografia come quella scattata al buco nero della galassia M87 e poi ritenere impensabile che un duomo del 1300 possa prendere fuoco significa, fondamentalmente, non comprendere la reale portata dei propri pensieri e delle proprie idee, oltre ad attestare qualche lieve difficoltà nel misurarsi col concetto di eternità.
La fogna social era già esplosa ieri, in serata: certa gente che chiedeva dove fosse la vignetta di Charlie Hebdo (ovviamente, essendo autori satirici validi e non giullari di corte, è arrivata per direttissima), altra che difendeva alcune discutibili posizioni europeiste, ignoranti che sproloquiavano sul furto della Gioconda e ritiravano fuori la testata di Zidane a Materazzi, cafoni senza arte né parte che da subito hanno avallato l'ipotesi di un attacco terrorista (islamico, ci mancherebbe!), mediocri che si improvvisavano direttori di cantiere, "sciure" che riportavano dall'alto dei loro ridicoli organi di stampa di riferimento notizie in cui si davano garanzie assolute sul fatto che il Capitano Salvini stesse guardando il Grande Fratello mentre Notre-Dame andava a fuoco (a questi ultimi regalo, non senza una punta di compassione, un personalissimo "E quindi?").
Io ero mezzo malato alla festa di compleanno di una carissima amica e vicina di casa e la televisione, per fortuna, era spenta. Ho guardato lo smartphone due volte. Sono tornato a casa presto e mentre mi misuravo la febbre ho fatto il mio giro nel tunnel degli orrori. Sinceramente, sul momento, non capivo le origini dell'incidente e non mi interessava neanche troppo comprendere l'effettiva portata dei danni. Mi sono fatto spazio alla meglio fra osceni Quasimodi disneyani che abbracciavano una miniatura della cattedrale, meme improbabili, post ipocriti, gargoyle piangenti.
Poi ho visto un paio di belle fotografie accompagnate da didascalie dotate di un senso onesto e rispettoso e ho deciso- anch'io magari vittima di uno slancio di istantanea debolezza -di scrivere un pensiero, ma senza andare con la mente alla distruzione e alla rovina, senza appropriarmi dei toni e del linguaggio di chi, nella vita, risulterà sempre "mediaticamente" succube e di conseguenza mediocre. Infatti, non volevo dirmi "distrutto" da una chiesa gotica in fiamme, perché in fondo ero vivo, un po' febbricitante magari ma la salute psicofisica tutto sommato c'era. Non avevo foto da condividere in cui fossi sotto la guglia est intento a pomiciare con qualche amore del passato e, nello specifico, ho ritrovato nel mio archivio quattro (4!) foto scattate a Notre-Dame, di cui due interne buie, mosse e accompagnate da atroci bestemmie di circostanza.
Non disponevo nemmeno di una storia romantica da raccontare, perché l'unica volta che sono stato a Parigi avevo diciotto anni ed ero in gita di quinta superiore: una stagione della mia vita orribile. Sfogliando i diari di quei giorni posso ritrovare l'entusiasmo per la città e per l'esperienza in sé, ma non c'è mezzo rigo da cui non traspaiano amarezza e malessere.
Così, ho postato la foto stando bene attento a inserire la data esatta (3 aprile 2008), e ho allegato alcuni versi di Ring them Bells, una canzone non strettamente religiosa ma in grado di toccare anche la spiritualità di un senzadio anticlericale come il sottoscritto. L'ho fatto perché per me il ricordo delle campane di Notre-Dame rimane più forte di qualsiasi titolo di giornale o telegiornale odierno, di qualsiasi dolore usa-e-getta, di tutta la vacuità contemporanea della cronaca nera, dell'attualità, dell'opinionismo spicciolo e del giornalismo d'accatto.
Stamani, in compenso, è già finito tutto.
L'incendio è spento.
Le verifiche per la stabilità della struttura sono in corso.
La ricostruzione durerà qualche anno.
In queste ore, possiamo ammirare i vari Corriere della Sera, Libero, la Repubblica, La Verità, Il Fatto Quotidiano, La Stampa, ecc. osservarci dalle vetrinette delle edicole, tutti mogi, fiacchi, senza nerbo: del resto, erano già ai nastri di partenza, pronti a strillare "al lupo! al lupo!" (che, nella modernità, coincide tristemente con "attentato! attentato!"). E invece niente: l'incendio non è scaturito da un atto terroristico e dunque non resta che abbandonarsi alla lettura di lunghi rosari wikipediani che raccontano la novella della "cattedrale più visitata del mondo".
La fine dell'Occidente è rimandata alla prossima puntata.
E ora "suona le campane" e argina il declino.
E ora "suona le campane" e argina il declino.
3 aprile 2008.
Intorno a me non c'è nessuna Françoise Hardy a cui dedicare questi versi. In riva alla Senna l'ombra gigante di Notre-Dame cerca di afferrarmi il piede mentre studenti della Sorbonne piroettano via su esili biciclette: colori realistici di cuoio roteante che volteggiano. La brezza sbadiglia cibo lontano dalle pance. Mucchi di amanti che pescano, si baciano si stendono sui loro libri. Barche. Vecchi vestiti di baffi ricci galleggiano sulle panchine. Coltri di turisti salperanno al calare del sole. Le porte del fiume sono aperte. Devo ricordarmi che non so suonare la chitarra. E' facile starsene qui. Altri amanti passano su motociclette avvinghiati dalle mura dell'acqua. Allora guardo verso quella che chiamano la Rive Droite e invidio quel suonatore di tromba, laggiù.
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