mercoledì 14 novembre 2018

"Ma che cazzo fai, oh?" [Extra]


Stamattina presto, a causa del grigiore stagionale, ho acceso una candela e mi sono messo a vagare per casa in pigiama, cercando l'uomo. Niente più di un mio personale omaggio a Diogene di Sinope, per carità, ma questa scenetta mi ha ravvivato l'umore e guardando fuori dalla finestra ho preferito sovrapporre alla realtà un cielo di smalto blu, lo stesso sotto il quale Nikke veniva a stanarmi una volta e con cui risultava più piacevole avventurarsi alla scoperta del mondo. 
Non sempre, tuttavia, ci era permesso abitare questo mondo del cielo di smalto blu, e così anche noi ci trovavamo costretti, talvolta, a trascorrere in casa quei pomeriggi resi acidi dal mangiare pesante della domenica. Ma il nostro stato d'animo manteneva intatta la sua natura elegiaca e le ore scorrevano lunghe lunghe, fra profonde fumate di fronte al caminetto del salotto e una rassegna di film in DVD che sembrava migliorare di volta in volta.
Il film coi Pink Floyd a Pompei fu, in assoluto, il più gettonato per un'intera stagione. A parte qualche cartolina di prova dal lato oscuro della luna, non conteneva nessuna canzone che noi possedessimo su disco. Niente Wish You Were Here, niente muri e maiali gonfiabili, niente mucche. Io avevo iniziato ad ascoltare il gruppo molto prima con The Final Cut (non mi sono mai capacitato di tanto sadomasochismo), che oggi equivarrebbe a regalare a un tredicenne St. Anger e ad augurargli in bocca al lupo per il suo viaggio alla scoperta dell'heavy metal.
Pink Floyd at Pompei fu il portale di accesso a Meddle, e a Meddle sono tornato anche stamani. A Meddle ritorno sempre per conto mio, senza proclami, specie dopo quella volta che mi misi a tradurre i primi versi di Echoes su un quadernino. Ero in compagnia di un ragazzo del quartiere, quello che si può definire, bonariamente, l'amico ignorante- ho frequentato anche degli imbecilli in vita mia, ma quelli sono una cosa diversa dagli ignoranti -e che di fronte a un gesto di scrittura, lettura e a qualsiasi altra cosa esulasse dalla bruttezza in cui vivevamo immersi sapeva dire solo una cosa: <<Ma che cazzo fai, oh?>>.
<<Niente, provo a tradurre quel poco che ho capito di una canzone...>>.
<<Sì, ma che cazzo fai?>>.
<<Niente, niente, non faccio niente! Anzi, smetto, guarda>>.
<<Eh, bravo, fai bene...>>.
<<Sì, lo so>>.
Insomma, ci voleva coraggio anche solo ad azzardarsi a pensare che là in cima l'albatro rimane sospeso a mezz'aria,/ e giù, nel profondo di onde fluttuanti,/ nei labirinti di caverne di corallo,/ giunge l'eco di un tempo remoto/ tremolante attraverso la sabbia/ e ogni cosa è verde e sommersa, figuriamoci a offrire un ascolto, un assaggio, un aiuto di un pezzo come Echoes o di One of these Days o di Fearless o di Saint Tropez (che delusione poi Saint Tropez, il paesello marittimo!). Quel coraggio, in compenso, lo ha dimostrato qualche anno fa Richard Linklater, quando ha inserito Meddle in un suo film: lo fa ascoltare a Willoughby, un personaggio minore che sembra l'unico hippie sopravvissuto all'ondata punk e che ha comunque i suoi cinque minuti di gloria. In realtà non è solo un hippie: somiglia quasi a un nerd ante litteram, uno che ha pensato bene di portarsi al campus un bellissimo impianto hi-fi con piatto Pioneer e ampli Marantz e un videoregistratore Sony con la scocca in legno e che ha tutta l'aria di essere uno studente fuori dai canoni, uno che di lì a breve magari busserà alla porta di qualche azienda della Silicon Valley e ci farà i soldi senza che gliene importi poi molto. Siamo nel sudest del Texas nel 1980 e questo ragazzo parla coi suoi compagni di stanza di linguaggio dei segni e di cosmo e anche loro, universitari fuori corso attenti alle tendenze e fissati col football, lo guardano con quell'aria che parla da sola e sembra solo dire <<Ma che cazzo fai, oh?>>.

Nessun commento:

Posta un commento