Le prime date estere del Not In This Lifetime Tour sono fissate al Foro Sol Autodromo Hermanos Rodriguez di Città del Messico. Come band di apertura per le serate del 19 e 20 aprile vengono reclutati i Cult (o quel che ne resta) e viene perfino realizzato un manifesto che cerchi di incorporare equamente i due gruppi. Non è che ci sia riuscito molto, visto che sembra la locandina di una mostra di fiori in cui l'idea di "roses" è giusto appena accennata.
I Guns arrivano in Messico il 18 aprile e vengono accolti con il calore che il pubblico latino-americano è sempre stato solito dimostrare al gruppo. Con ogni probabilità, il pubblico dell'America Centrale e del Sud-America è il miglior pubblico rock in assoluto, seguito a ruota da quello dei paesi mediterranei. L'intensità, la partecipazione, il groove e la simbiosi con la musica suonata sul palco dimostrati da queste popolazioni sono- a detta di molti artisti -valori irripetibili in altri paesi.
La band arriva a Città del Messico |
In molti continuano a pensare ai Guns N'Roses come alla band di Appetite For Destruction, il disco che fotografa gli alfieri del movimento street-metal di Los Angeles nella seconda metà degli anni Ottanta. Di conseguenza, in tanti continuano a riferirsi a questi concerti odierni come ad una reunion che ripropone il materiale di fine anni Ottanta. Ma non c'è nulla di più falso: e i due concerti di Città del Messico lo hanno dimostrato. I Guns si stanno rivelando una delle poche formazioni di hard rock americano definitive. In trentuno anni potranno avere inciso poco più di un pugno di dischi in studio (come, a loro tempo, fecero i Grateful Dead, del resto), ma hanno girato il mondo on tour senza quasi mai fermarsi, e potrebbero continuare per chissà ancora quanto.
Con l'avvento di internet e nell'era YouTube, la vita di un appassionato come me è stata molto semplificata. Grazie ai video di ottima qualità che sono andati moltiplicandosi nel corso degli anni, è stato molto semplice seguire il gruppo a giro per il globo, ascoltarne i brani e osservarne l'evoluzione. Tanto che, a furia di ascoltare bootleg ed esibizioni live, la voglia di aggiungere show nuovi a quelli che già conoscevo si è affievolita, perché, ovviamente, molto spesso si trattava di concerti di elevato livello ma non troppo diversi gli uni dagli altri. E se ultimamente potevo ritenere difficile dire quale concerto dei Guns valesse ancora la pena di ascoltare per intero da cima a fondo, le due date di Città del Messico hanno rappresentato la degna risposta. Queste due serate, entrambe trionfali ma pure molto diverse, entreranno a far parte della recente leggenda della band quanto quella del 1° aprile al Trobadour.
La scaletta della prima sera non sembra celare sorprese di sorta; più o meno lo stesso repertorio già ripetuto a Las Vegas e al Coachella, due pezzi in meno, però quanta energia in più. Sia sopra che sotto il palco, le note scorrono torrenziali. Slash è un leone, Duff canta i suoi pezzi con la rabbia di un vecchio punk-rocker, Axl è ancora incazzato per la sua gamba e ruggisce dall'alto del suo trono, sdondellando e ridacchiando della propria condizione. Ricompaiono le tre stelle rosse con le due spighe ai lati, tipiche della Chinese Democracy era, certamente, ma sempre parte essenziale del patrimonio simbolico del gruppo. Al posto di quella di novembre, su Città del Messico viene giù un'afosa pioggia di aprile.
In Messico l'importanza dei GNR è pari a quella del tricolore nazionale |
Slash in visita al museo del giocattolo |
Lo show del 19 aprile lascia spazio a quello, principesco, della sera seguente. Si apre con una tirata It's So Easy, che si fonde quasi senza soluzione di continuo nel potente wahwah di Mr. Brownstone. Segue Chinese Democracy, su cui ormai Slash gioca e si diverte come un neonato con un bambolotto nuovo di pacca e poi ancora Welcome To The Jungle, Double Talkin'Jive, Estranged, Live And Let Die, Rocket Queen, You Could Be Mine e le due consuete covers di Duff. This I Love lascia spazio ad una definitiva There Was A Time. Per chi non lo sapesse, There Was A Time è il brano di punta di Chinese Democracy, nonchè una delle dieci canzoni migliori dei Guns. Contiene il più rovente, interminabile, torrenziale assolo di chitarra che io abbia ascoltato negli ultimi vent’anni, uno di quelli che distinguono indelebilmente il popolo dei fighetti da quello dei rockers: se appartenete al secondo, non potete evitare di contorcervi agitando le dite sul manico di qualsiasi oggetto vi troviate a portata di mano, non importa chi vi stia guardando in quel momento. E, come se non bastasse, alla Les Paul di Slash fa seguito un maestoso lavoro di effetti elettronici curati da Melissa.
Un'altra strepitosa sorpresa di questa serata arriva nei bis. Dopo Dont' Cry e prima di avventurarsi nel repertorio degli Who con The Seeker, i Guns tirano fuori una gemma e non una qualsiasi. Yesterdays era stata sempre suonata poco in concerto (l'ultima volta nel 1993) e Axl non l'aveva mai più voluta in scaletta. Un vero peccato, dato che si tratta di un altro capolavoro, una power-ballad scritta a più mani (West Arkeen, Del James e un certo Billy McCloud risultano i suoi co-autori) e pure immessa sul mercato come singolo nell'autunno del 1992. Scelta grandiosa e salutata con gioia dal pubblico sterminato dello stadio in cui si svolge l'evento. Con le note di Paradise City è davvero finita la grande avventura di questo 20 aprile messicano, bruscamente, e senza rimpianti. Tranne che per gli anni che sono passati prima di riuscire a vedere insieme questi ragazzi.
E così, mentre guardo le ultime immagini in streaming dallo stadio di Città del Messico riempito di persone in ogni centimetro quadrato per la seconda sera consecutiva, non posso fare a meno di domandarmi com'è che, dopo così tempo dall'acquisto di Appetite For Destruction, dopo gli innumerevoli pomeriggi passati a braccare e archiviare file contenenti rarità in studio, leaks e bootleg, dopo tutti gli ultimi valzer ballati sulle note dei due Use Your Illusion e dopo tutte le chiacchiere, i pettegolezzi e i rifiuti, io sia ancora qui e non dove ho sognato, e dove, francamente, avrei immaginato essere.
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