Spotlight (da noi "paraculmente" ammorbidito ne Il caso Spotlight), fresco di premio Oscar come miglior pellicola, potrebbe sembrare un film artisticamente piatto come una sogliola. Al contrario del rivale e favorito La grande scommessa non sceglie di raccontare fatti gravissimi e temi complessi usando lo humor e i virtuosismi registici, ma ricalca il susseguirsi degli eventi con un piglio che per poco non sconfina in quella che gli addetti al settore definiscono, da alcuni anni, docufiction. In più, la freddezza della regia di Tom McCarthy viene compensata dall'inizio alla fine da una squadra di attori superlativi. Il risultato è quello di una delle migliori opere di denuncia degli ultimi anni.
Punto di contatto con La grande scommessa (film che a chi scrive continua ad essere piaciuto sommariamente) è la scelta di indagare su un certo genere di abusi (sessuali piuttosto che finanziari) e di seguirne le devastanti ripercussioni su coloro che li hanno subiti. L'inquietudine dettata da ciò che Spotlight mostra non è solo attribuibile ai fatti in sè, ma anche al modo in cui questi sono stati tenuti nascosti dalla Chiesa cattolica. Non è questo il luogo in cui approfondire ciò che il film mostra, esplica e racconta al meglio, supportato da un ottimo script che ricorda un certo dramma d'inchiesta à la Sidney Lumet, sobrio, amaro ma con il giusto trionfo (si fa per dire) sul finale. Essendo marzo, è presto per strombazzare Spotlight con toni quali "di gran lunga il miglior film dell'anno", ma senz'altro promette di essere fra i migliori. E questo è quanto.
Nessun commento:
Posta un commento