The Book Of Souls
(Parlophone, 2015)
★★½
Nell'arco di una carriera iniziata, discograficamente parlando, trentacinque anni fa e snodatasi per oltre quindici album di inedite e una decina di live, gli Iron Maiden non erano mai approdati al doppio disco in studio. Succede oggi con The Book Of Souls, prodotto da Kevin Shirley e registrato ai Guillaume Tell Studios di Parigi (gli stessi dove prese vita quel mezzo capolavoro di A Brave New World): undici, lunghi brani divisi in due dischi, con in copertina un Eddie tribale come poche altre volte e il logo della band virato ad una splendida bicromia black&white. D'altronde, gli Iron Maiden sono i più grandi impacchettatori del sogno heavy metal di tutti i tempi, il che spiega anche gli incredibili dati di vendite registrati dai loro best-of (praticamente sempre identici) ogni due, tre anni.
The Book Of Souls, pur nella sua doppiezza, non è l'album dei Maiden diverso. Senz'altro riveste una certa importanza la sempre meravigliosa voce di Bruce Dickinson, guarito da alcuni mesi da un tumore alla lingua, e fondamentali risultano i due brani da lui scritti e composti (If Eternity Should Fall e Empire Of The Clouds, la più lunga canzone mai prodotta dal gruppo). Che cosa cantino le nostre amate vergini di ferro in queste lunghe cavalcate oniriche e visionarie, zeppe di riferimenti e vivide immagini, non sempre è facile a dirsi. C'è un morboso omaggio a Robin Williams (Tears Of A Clown) scritto dalla coppia Smith e Murray, la novella (Death Or Glory) dell'infallibile Barone Rosso (abbiamo capito che l'aviazione è il grande hobby di Dickinson, ma qua davvero non si parla d'altro), la breve Speed Of Light, l'angosciosa The Great Unknown.
Alcune canzoni sono le solite, alcune sono divertenti (la strumentale When The River Runs Deep), alcune sono insostenibili e solo poche sono davvero belle (per quanto mi riguarda The Man Of Sorrows, If Eternity Should Fall). Nel complesso, The Book Of Souls è davvero troppo lungo, teso, perfino ripetitivo: può essere scritto e suonato bene, come solo gli Iron Maiden sanno scrivere e suonare un disco (possibilmente singolo e possibilmente sotto i sessanta minuti di durata), ma finisce comunque con l'annoiare, oltre a non aggiungere nulla nè agli artisti, nè all'ascoltatore, nè al genere.
La band è in gran forma, e questo rincuora. Suonano una musica nella quale ancora sembrano credere e pur allungando a dismisura il brodo e dilatando i tempi, finiscono sempre col fare lo stesso album. Un giochetto, quest'ultimo, che però riesce molto meglio a colleghi più attempati e meno ambiziosi. Basta ascoltare gli ultimi lavori di gente come Motorhead o AC/DC per accorgersene.
Peggio di un disco degli Iron Maiden (post-Somewhere In Time) ci può essere solo un doppio disco degli Iron Maiden. Madonna che cagata siderale!
RispondiEliminaQuando si dice, un nome e un programma.
EliminaQuesto disco nuovo è bruttoccio, ma i Maiden, a mio modo di vedere, non hanno esaurito la vena creativa addirittura a fine anni '80. "Seventh Son Of A Seventh Son" è un bel disco, e lo stesso me la sento di dire di "A Brave New World". Come se non bastasse, perfino "Dance Of Death" vanta ottimi momenti, mentre "Rock In Rio" è uno dei live più significativi degli anni duemila. E se è vero che da una decina di anni dal loro studio esce soltanto fuffa noiosa e inconsistente, è altrettanto vero che in concerto rimangono uno dei gruppi migliori in circolazione.
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