Nonostante il caldo, il
vuoto, la solitudine dettata dalle (altrui) ferie d'agosto,
l'angoscia opprimente e un profondo senso di inadeguatezza, neanche
in queste afose giornate rinuncio al mio livre de chevet.
Si tratta di quel volume cui si è tanto legati da tenerlo sempre sul
comodino (chevet),
così da rileggerne qualche passo prima di addormentarsi. I tomi che
finora hanno conquistato la “medaglia d'oro del comodino” sono
perlopiù agiografie rock, qualche romanzo russo e francese, la
Dinastia dei paperi di
Don Rosa e l'autobiografia di Ingmar Bergman.
Ed
è sempre in questo periodo che, all'orizzonte, inizia a
concretizzarsi l'eventualità di affiancare, al livre de
chevet, un livre des
chevets, un “libro di
comodini”. Questo passaggio si verifica intorno ai primi di
agosto, quando l'Ikea annuncia, tramite il sito internet e qualche
spot televisivo di buon livello, che il suo nuovo “romanzo” è
pronto. Tuttavia, quest'anno, Ikea ha fatto notizia con largo
anticipo: basta spulciare qualsiasi giornale in questi giorni e ci si
accorgerà di come, nelle pagine di economia, non si parli altro che
delle agognate assunzioni all'Ikea di Pisa. Servono a ben poco le ventottomila
domande di assunzione recapitate al canale dei Navicelli, visto che i
posti disponibili sono poco più di duecento. Il presidente della
regione Enrico Rossi si dice felice, e non perchè- da uomo di
sinistra quale dichiara di essere -è dalla parte degli aspiranti
lavoratori, ma perchè questa maxi-assunzione toscana “fa notizia”.
Dunque, da oggi, le regioni più virtuose d'Italia saranno quelle
dove il colosso svedese dell'arredamento deciderà di assumere
personale.
La
cosa che però i giornali di (neo-)economia e i gazzettini popolari
locali (ad esempio, La Nazione) non svelano è proprio l'essenza
stessa di quello che sarà il livre des chevets
di quest'anno: le tendenze, le scelte cromatiche e stilistiche, le
idee filosofiche pure, le novità del catalogo Ikea 2014.
Solitamente, in questi casi, io sposo la pazienza e l'attesa: attendo
quel momento dell'anno in cui gli studenti paventano il ritorno a
scuola e i cinefili iniziano a discutere sulle scelte del festival
del Cinema di Venezia, dopodiché, il 25 agosto, sogno di inforcare
la mia storica bicicletta blu (assente dal maggio 2006) e di coprire
senza emissioni di CO2 i centotrenta chilometri (andata e ritorno)
che separano casa mia dall'Ikea Store di Sesto Fiorentino per andare
a ritirare la nuova copia del catalogo.
Ovviamenti
questi buoni propositi non trovano mai una loro realizzazione pratica, e
mi ritrovo così a sfogliare l'edizione online del catalogo USA e a
fare un paio di constatazioni. La prima è che le tenebrose edizioni
2007, 2008, 2009 e 2010 sono ormai un lontano ricordo: la copertina è
piena di bei colori accesi, distanti anni luce da quella predominanza
del nero che voleva forse avvicinare gli emo o qualche orripilante
adolescente dark all'arredamento svedese. Insomma, la scelta
cromatica aziendale continua ad essere ferma sui bei colori
reminescenti di quadri impressionisti, e questo non può che essere
un bene in una società dove siamo quasi tutti (più o meno
consapevolmente) depressi.
A questo punto, mi perdo in un assurdo
gioco di comparazione fra i vari paesi del mondo: noto, ad esempio,
che uno stesso sgabello, vuoi per la moneta unica o per le diverse
percentuali dell'IVA, costa meno in Germania che da noi. Poi, mi
sbizzarrisco coi menù dei celeberrimi ristoranti interni, e scopro
che quella pasta al pomodoro che noi credevamo una gentile
concessione svedese al nostro gusto compare anche nei self-service di
Tel Aviv e Hong-Kong, e che pure gli ingredienti degli appetitosi
wraps al salmone sono
gli stessi a Milano e Kyoto. Cambia l'alfabeto, dunque, ma la
sostanza rimane la stessa.
Grande
eccezione in questo universo di uguaglianza è la figura della donna,
totalmente assente dai cataloghi dei paesi islamici. Tanto per fare
un esempio sbellicante: osservo la pagina del pianificatore
d'arredamento “normale”, dove un sosia di Marco Mengoni siede
insieme ad un afroamericana su un divano; sorridono e pianificano la
loro nuova cucina. Ora osservo la stessa pagina in versione “islam”,
e noto che il Mengoni della situazione è seduto da solo e non
sorride neanche.
Meglio ancora è la pagina di una cucina finita,
dove un uomo di mezza età serve a tavola (cosa già abbastanza
fantascientifica per l'Italia) la moglie e le due figlie. La versione
saudita è terribile: stessa cucina, stessi cibi, stesso uomo, ma
nessun commensale. Infine, nella doppia pagina che presenta i
designer dell'anno vengono lasciati solo gli uomini, negando così il
lavoro e perfino l'esistenza di progettiste donne.
Pagine
del catalogo Ikea di questo tipo destano scalpore da anni, e i nostri
quotidiani hanno spesso usato simili notizie come inutili riempitivi.
Inutili
perchè a ben poco serve parlarne, specie in un paese come il nostro, dove neanche siamo preparati a meritarsela la filosofia dell'Ikea.
Inutili
perchè quelle giornaliste che scrivono dei lacrimevoli e commoventi
articoli su La Repubblica hanno la casa tappezzata di mobili Ikea,
vanno matte per la focaccina bio del ristorante interno, e come livre
de chevet esibiscono qualche
insulso romanzetto sulle donne islamiche vessate, scritto magari da
una giovane e ricca figlia di ambasciatore saudita naturalizzata
inglese.
Inutili
perchè l'unica cosa che l'italiano medio conosce del Medio Oriente
sono i resort di Sharm El Sheikh e i nomi di qualche compagnia aerea
stampati su magliette di calcio italianissime.
Così, non
sentitevi in colpa se- come il sottoscritto -in questo assolato e noioso mese di agosto rimanete attratti più del solito dalle cose banali e inutili.
Non resta che cercare motivi di sdegno fra le vere pieghe dell'esistenza:
basta aspettare il 25 agosto e trovarne di nuovi fra le pagine di un
mobilificio svedese.
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