PREMESSA
Cosa c'è di meglio di uno scritto invernale da pubblicare su Trame in pieno agosto? Nulla.
Ritrovato assieme ad altri tre, è il primo di un ciclo di racconti onirici. Gli altri conto di pubblicarli via via qui sul blog, ma intanto ecco Il facocero, scritto nel gennaio del 2005. Buona lettura.
IL FACOCERO
Era una notte più
nebbiosa che buia e tempestosa, quando il telefono di Sandro
Gambadipesce squillò. E fu subito emergenza.
La voce proveniente
dall'altro capo della cornetta sopravvissuta ai tardi anni ottanta
era roca e angosciata, ma anche estremamente convincente. Sandro
doveva scendere dalla sua collina e raggiungere il quartiere del
Capannino, dove avrebbe ricevuto ulteriori istruzioni.
Fu un gesto impulsivo da
parte sua, ma, sentendosi in pericolo, decise di portare con sé sua
moglie e e le loro due bambine. Avvolti nei piumini- soprattutto la
bimba piccola -uscirono nel freddo e nella nebbia.
Avevano già camminato
per un chilometro, quando, mentre percorrevano la discesa che univa
il quartiere residenziale dove abitavano al Capannino, notarono che
l'impianto di illuminazione era guasto e che l'intero isolato era
avvolto in un'oscurità spettrale. La strada si faceva sempre meno
ripida, ma Sandro si fermò quando udì un rumore simile al ringhio
di un cane feroce.
<<Cosa c'è?>>,
chiese la moglie impaurita, cullando amorevolmente la bambina più
piccola e tenendo l'altra stretta per mano. Non fece in tempo a
finire la frase, quando dalle tenebre spuntò fuori il facocero.
Era terribile e
minaccioso, e dalle ricciolute zanne poste agli angoli della bocca
scendevano gocce di bava a non finire. Fu allora che Sandro si
dimenticò della telefonata che lo aveva portato fin lì, di quella
voce metallica, di quella sensazione sgradevole, e, sospinte moglie e
figlie indietro, si dette alla fuga. Il facocero era pesante e in
salita faticava non poco, e questo dette un netto vantaggio iniziale
ai Gambadipesce.
Rientrarono nel quartiere
e imboccarono decine di viuzze parallele, ma nonostante la nebbia il
facocero continuava a inseguirli. <<Schifoso ammasso di
setole!>> sbraitava, senza riprendere fiato, Sandro. Uno dei
primi palazzi di fronte a cui passarono fu quello di Lidia, un'amica
di famiglia che in passato era stata candidata a far loro da
testimone di nozze. Volle il caso che questa signora sui quaranta
fosse solita soffrire di insonnia e che trascorresse anche le notti
più fredde nel suo minuscolo terrazzino, a fumare e bere tisane.
Era proprio lì quando i
Gambadipesce passarono là sotto, urlando, piangendo e chiedendo
aiuto. Lidia notò l'orribile bestia che inseguiva i suoi amici, ma
non si scompose e domandò loro, urlando: <<Vi serve
qualcosa?>>.
La moglie di Sandro
rallentò leggermente il passo e, sorridendo, rispose: <<No,
Lidia, grazie! Tutto a posto!>>.
A Sandro tutto questo
sembrava assurdo. Non poteva essere così: sua moglie non poteva aver
rifiutato l'aiuto di una delle loro più care amiche e vicine. Ma
cosa importava ormai? Casa loro distava poche decine di metri e le
possibilità erano due: fare un ultimo sforzo e salvarsi oppure
rallentare, arrendersi e finire sbranati.
Prevalse l'istinto di
conservazione, e complice l'alto cancello che separava il giardino
dal vialetto i Gambadipesce riuscirono a tornare in casa. Le bambine
erano terrorizzate, e la moglie era entrata in uno stato di trance
permanente. Toccò a Sandro mettere a letto le figlie, dopodichè
tentò di instaurare un dialogo con la moglie su quanto accaduto:
<<Ti rendi conto che potevi farci uccidere tutti? Perchè hai
rifiutato l'aiuto di Lidia?>>.
La moglie sembrò quasi
uscire dal torpore vegetale in cui sembrava essere sprofondata e
tirando un profondo respiro soggiunse: <<Mi sembrava una cosa
poco carina disturbarla a quell'ora>>.
Sandro non aveva neanche
la forza di litigare: voleva solo riposarsi. Riuscì a fatica a
togliersi il cappotto prima di sdraiarsi sul divano, mentre la moglie
era già sotto le coperte, in pigiama.
Ed egli era convinto di
stare già sognando quando udì una voce di donna chiamare il suo
nome. Si destò incuriosito e guardo l'orologio: erano da poco
passate le tre e la nebbia sembrava essersi diradata. Preparandosi al
freddo, aprì la finestra e guardò fuori. La voce proveniva dal
palazzo accanto: si trattava di Domitilla, una ragazza graziosa che
faceva sculture meno graziose nel suo piccolo appartamento. Sandro le
sorrise.
<<Antonio, quello
del piano di sopra, sta male e chiede di te!>>, disse lei.
Sandro chiuse la
finestra, raccolse il giubbotto da terra, dove l'aveva lasciato poco
prima, e senza né dare spiegazioni né salutare la moglie uscì
nuovamente. Rimase colpito quando, arrivato al cancello, notò che i
lampioni della sua via non funzionavano più. Si domandò come fosse
possibile che, in meno di due minuti, si fossero guastati. Alzò gli
occhi al cielo: per fortuna, le poche luci accese nei tanti palazzi
là attorno servivano a farlo orientare. Si incamminò senza fretta,
ma, non appena svoltato l'angolo, il grugnito del facocero tornò ai
suoi orecchi. La bestia era di nuovo lì, di fronte a lui. Lo fissava
e grugniva; lo aveva aspettato e non lo avrebbe più fatto andare
via.
Sandro fuggì, inseguito
dal facocero, ed entrambi sparirono nella notte, inghiottiti
dall'oscurità dei vialetti.