Grazie ad una recensione fasulla letta su un quotidiano locale, arrivo in sala convinto che Toni Servillo vesta i panni di Beppino Englaro e che il film sia la cronaca degli ultimi giorni di "vita" di sua figlia Eluana. Ma non è così. Infatti, Servillo è il protagonista di uno dei quattro episodi che procedono parallelamente per tutto il film: il grandissimo attore di Afragola è Uliano Beffardi, un senatore del PDL con un passato da socialista, ateo e vedovo. La moglie, "molto cattolica", è morta pochi anni prima chiedendo proprio al marito di "staccare la spina"; da quel giorno il senatore è malvisto dalla figlia Maria (A. Rohrwacher), indirizzata sulla strada del più bieco fanatisimo cattolico. La rottura fra i due avviene l'8 febbraio 2009, quando il senatore parte per Roma (dove dovrà votare per "salvare Eluana", andando contro ai suoi principi) e Maria per Udine (dove parteciperà al famoso sit-in di fronte alla clinica La Quiete, presso cui Eluana Englaro è ricoverata). Qui la ragazza conosce Roberto, che accompagna lo squilibrato fratello minore; intanto al senato, il padre di Maria entra in crisi, decide di remare contro al partito e prepara un commovente discorso in cui spiega le sue motivazioni, convinto di rassegnare le dimissioni. Eluana muore prima che si voti, Maria e Roberto consumano una strampalata e irreale notte d'amore e Beffardi si dimetterà comunque. Fine?
Magari. Queste sono le due storie centrali, le migliori e le più veritiere. Bellocchio, purtroppo, non si è limitato a mostrare il lato più politico e "intimo" della vicenda: deve infatti inventarsi una storiella noiosissima su una tossicodipendente (una sopravvalutatissima Maya Sansa) e il dottor Pallido (un Riondino ingiustamente sottovalutato), due figure che tormenteranno lo spettatore dall'inizio alla fine del film; poi, non contento, ci trascina nella villa della Divina Madre (Isabelle Huppert), una ex-attrice che tenta di diventare santa per far risvegliare la figlia adolescente da un angoscioso stato vegetativo. Sono proprio queste incursioni forzate (e spesso recitate maldestramente) nella dimensione più tragica (l'attrice fanatica religiosa) o fiabesca (la tossica e il dottrino) della pellicola ad annoiare lo spettatore, convinto di andare a vedere un film che affronti in maniera approfondita un tema civile come l'eutanasia e metta in scena, senza riserve, il Dolore, quello con la "d" maiuscola, quello che personalmente mi aspettavo di trovare fissato sullo schermo. E invece non è successo: e credo che in molti, compresi i giudici del festival del cinema di Venezia, se ne siano accorti e se ne accorgeranno.
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