Sono passati quasi vent'anni da quando- avevo da poco iniziato la seconda media -andai a vedere La maledizione dello scorpione di Giada. Ne sono trascorsi quasi 14 da quando vidi Match Point, rimanendo folgorato da un film che sembrava pensato, scritto e diretto da un regista trentenne in fissa con Dostoevskij e il tennis. Fu una visione unica, totalizzante, un qualcosa che andò a finire dritta in quell'empireo cinematografico personale dove identificazione e ispirazione sono le uniche cose che contano. Da quella fredda sera di gennaio, sono tornato in sala puntualmente, ogni anno, a consumare il rito del "nuovo film di Woody Allen", che è sempre arrivato come neanche le tasse e la morte saprebbero fare. Qualche idea qua e là, in questi 14 anni, l'avrei pure intravista, un quartetto di buone pellicole- prevalentemente commedie -ha comunque fatto eco al capolavoro, ma il ritrito, il superfluo e i luoghi comuni hanno finito col prendere il sopravvento. Davvero ho concluso la visione di Un giorno di pioggia a New York domandandomi cosa sia rimasto oltre ai belli appartamenti, ai bei maglioni,alle belle atmosfere.
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