Domenica. Si sapeva da qualche giorno che le condizioni meteo si sarebbero prestate perfettamente a una copiosa nevicata su tutto il centro Italia. Mi sveglio prima delle nove, alzo la serranda per controllare, vedo piovere, mi rimetto a letto con un paio di One Piece da finire di leggere. Dopo colazione, faccio un giro su Facebook, mentre dallo stereo riparte The Union di Elton John e Leon Russell, per buona parte ascoltato in cuffia stanotte. Lo lascio, nonostante manchino giusto tre canzoni. Passano un paio d'ore e il quartiere inizia a imbiancarsi di una neve sottile. Arriviamo all'ora di pranzo che dal cielo cadono fiocchi costanti, determinati, precisi. Verso le 15 esco: la campagna coperta di neve sembra dormire, il solo guardarla rappacifica. Telefono a Sofi e le dico che la passerò a prendere per andare a fare un giro. Scendo tranquillamente verso la parte bassa del paese, la strada è molliccia ma vuota, i chicchi si infrangono silenziosamente sul lunotto di Ginetta, mentre nell'abitacolo risuona- vista l'occasione -Cold Rain and Snow dei Dead, versione Truckin' Up to Buffalo. Ero abbastanza sicuro di aver caricato sull'iPod quella incisa nell'ottobre del 1984 ad Augusta, ma l'effetto desiderato arriva comunque, dal momento in cui mentre percorriamo la salita della via Nova entro in un'altra dimensione.
Imbocchiamo l'Autopalio in direzione Siena. Ci godiamo una superstrada semideserta a velocità lievemente rallentata rispetto al solito. La Ginetta ha le gomme invernali, ma non perchè le ho messe io (me ne guarderei bene): infatti, la proprietaria precedente ce l'ha venduta così, coi pneumatici termici inclusi nel pacchetto. Onestamente, alla guida non sento alcuna differenza. La neve sembra aver misteriosamente arginato Monteriggioni e le sue torri, così come le amene campagne tutte attorno alle Badesse, ma mano a mano che l'uscita Siena Nord si avvicina il bianco torna a essere un colore dominante. Scendiamo da via Fiume e risaliamo lungo via Caduti di Vicobello. Guardo fuori dal finestrino e vedo un po' gente preoccupata, se non direttamente incazzata. Una coppia di signori di mezza età cerca di coprire alla meglio, con un grosso telo, una station wagon, mentre i figli piccoli ridono facendo a pallate. Mi si palesa così una mezza metafora della vita: da una parte i bambini, spensierati e intenti a godersi ogni gioioso secondo di un'esperienza che- almeno in zona -non si verificava da alcuni anni, e dall'altra gli adulti, rifidi, ingrigiti e arrabbiati. Per un attimo mi sembra quasi di sentire lui dire a lei <<Ma come si permette, questo tempo di merda?! Io stasera devo andare qui... e domattina, domattina, porca puttana, ho un appuntamento di là...>> e poi ancora un interminabile susseguirsi di "io", "io" e "io". E va bene: ma allora tanto vale la pena sottolineare che tutti domani avremo qualcosa da fare, che tutti, bene o male, avremo bisogno di spostarci per farlo, e che tutti dovremo fronteggiare questa robusta nevicata. Perciò, inutile starsene tanto a concentrarsi solo su di sè. Lungo il cammino, ho conosciuto più di un individuo che pretendeva che il mondo si adattasse alle sue esigenze e non viceversa: un modo di vivere forse "comodo" ma che non mi sento nè di condividere, nè tantomeno di rispettare. Nel frattempo, Porta Camollia si staglia di fronte a noi, mentre le mie dita alzano il volume dell'impianto Kenwood e Don't Fear the Reaper irrompe come un tuono sulla strada.
Coi Blue Oyster Cult nello stereo e la mia donna seduta vicino mi sento bene. Più ci avviciniamo alla nostra area parcheggio in San Prospero, più la neve sembra aumentare. Il Siena gioca in casa, ma si trova posto agilmente. Lo sbalzo termico è importante, visto che dai 22° della Ginetta passiamo a -1° nel colpo di un battito di ciglia. Un'ondata di gelo e chicchi ci investe. Lascio scivolare il cappuccio del mio giubbotto sulla papalina, stringo entrambe le mani nei guanti che mi ha regalato mamma per natale e abbraccio Sofi. Mi sono chiesto più volte come avessero fatto Bob Dylan e Suze Rotolo a non morire di freddo nel febbraio del '63 durante la rapida photosession che avrebbe dato i natali alla copertina di The Freewheelin' ma mi do sempre la stessa risposta: Dylan è Dylan. Nulla è più figo di Dylan sulla neve, sia essa quella all'angolo fra Jones Street e la West 4th nel Village o quella ancora più gelida di chissà dove in un imprecisato punto della Rolling Thunder Revue. Dylan, semplicemente, può. Sofi fa una foto mentre io mi blocco di fronte alla chiesa di San Domenico innevata e avvolta dalla foschia. Maggie diceva che San Domenico è la chiesa più bella di Siena e in certi giorni non me la sento di darle torto. Sospiro, riguardo compiaciuto la foto sullo schermo del Samsung, assaporo quella sensazione che la neve tende a infondere alla mia anima e di cui ero digiuno da troppo tempo.
Passeggiamo per il centro, ma il vento non ci permette di arrivare fino in Piazza del Campo. Noto che molti negozi da orario continuato sette giorni su sette (Siena conta 60.000 abitanti ma non per questo rinuncia alle barbare usanze di metropoli dieci, venti volte più popolose) hanno i bandoni tirati giù. Dunque un'autentica, robusta nevicata non solo è un ottimo strumento per far riavvicinare l'uomo al proprio io interiore, ma talvolta riesce pure a mettere marginalmente in crisi questa strampalata società dei consumi di cui siamo vittime e carnefici. Rientriamo in paese col buio: lascio Sofi a casa, vedo un amico per le classiche quattro chiacchiere e ne approfitto per fargli notare lo spettacolo incantato della piazza deserta e imbiancata dalla neve. Alcuni fiocchi illuminati dalla luce dei lampioni hanno iniziato ora a cadere larghi e fitti. Ormai non sento più neanche il freddo e penso che potrei camminare attraverso il gelo fino a intirizzirmi. Di fronte al cinema, una piccola folla sta uscendo dallo spettacolo di metà pomeriggio: babbi e mamme si salutano, altri ragionano sul film appena visto (l'ultimo di Muccino, eh, mica Kurosawa!), mentre i figli rotolano via, chi sfidandosi, chi scivolando sulla neve fresca. Non ci sono tv o videogiochi, niente happy hour in qualche rifugio vanziniano, niente centri commerciali, nessuna campagna di marketing, non c'è chi compra, non c'è chi vende. Solo neve, freddo e qualche sorriso a cancellare, per un attimo, questo mondo affannato.
Passeggiamo per il centro, ma il vento non ci permette di arrivare fino in Piazza del Campo. Noto che molti negozi da orario continuato sette giorni su sette (Siena conta 60.000 abitanti ma non per questo rinuncia alle barbare usanze di metropoli dieci, venti volte più popolose) hanno i bandoni tirati giù. Dunque un'autentica, robusta nevicata non solo è un ottimo strumento per far riavvicinare l'uomo al proprio io interiore, ma talvolta riesce pure a mettere marginalmente in crisi questa strampalata società dei consumi di cui siamo vittime e carnefici. Rientriamo in paese col buio: lascio Sofi a casa, vedo un amico per le classiche quattro chiacchiere e ne approfitto per fargli notare lo spettacolo incantato della piazza deserta e imbiancata dalla neve. Alcuni fiocchi illuminati dalla luce dei lampioni hanno iniziato ora a cadere larghi e fitti. Ormai non sento più neanche il freddo e penso che potrei camminare attraverso il gelo fino a intirizzirmi. Di fronte al cinema, una piccola folla sta uscendo dallo spettacolo di metà pomeriggio: babbi e mamme si salutano, altri ragionano sul film appena visto (l'ultimo di Muccino, eh, mica Kurosawa!), mentre i figli rotolano via, chi sfidandosi, chi scivolando sulla neve fresca. Non ci sono tv o videogiochi, niente happy hour in qualche rifugio vanziniano, niente centri commerciali, nessuna campagna di marketing, non c'è chi compra, non c'è chi vende. Solo neve, freddo e qualche sorriso a cancellare, per un attimo, questo mondo affannato.
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