PREMESSA.
Sulle prime, ormai più di un anno fa, l'invito mi era stato rivolto alla seconda persona plurale ("siete invitati", "dovete venire", "verrete?", ecc.). Andre aveva scelto un primo pomeriggio di giugno per darmi la notizia: io e lui seduti su una panchina del Vallone, le scuole chiuse da poco, io che da alcuni giorni avevo trovato lavoro come cassiere alla Coop e che morivo dalla voglia di raccontargli del grandioso progetto di una casa dove non avrei abitato mai. Al fatidico annuncio seguì un rilassato silenzio, poi un abbraccio. Non sarei potuto mancare.
Più o meno un anno dopo siamo ancora qua. Il mio invito è passato alla terza persona singolare, io nel frattempo- per onorare questa barbara epoca di precariato -ho cambiato altri tre lavori e ho perfino pubblicato un libro. Abbiamo confermato le presenze e dobbiamo solo decidere se prendere un treno, un pullman o un aereo e andare verso est. Siamo tutti i suoi amici, seppur con qualche defezione. Ci sono ancora gli indecisi, quelli dell'ultimo minuto, quelli che si svegliano tardi, ma l'importante è svegliarsi. C'è chi ha cose più serie da fare? Non in questi giorni e, soprattutto, non io, Marco, Ilaria e Marti, che partiamo per Bologna il venerdì mattina, destinazione Koŝice.
Questo breve soggiorno slovacco (scrivo "soggiorno" perché il termine "vacanza" sarebbe esagerato in un verso e, nell'altro, appannerebbe lo scopo del viaggio, ossia un'occasione nuziale) è una cosa a cui in un mondo migliore avrebbero diritto tutti, più o meno a quest'età: radunare in una città estera gli amici di tutta la vita e darci dentro come se non ci fosse un domani. Un matrimonio suggella un qualcosa di più e sancisce, di fatto, la conclusione di una stagione della vita. E questo vale sia per l'esistenza di chi si sposa che per quella di chi è stato chiamato ad assistere, a partecipare, a essere spettatore e co-protagonista.
Quelle che seguono sono le pagine di un diario scritto a quattro mani con Marti nei nostri giorni slovacchi. Ho riflettuto su un titolo beat cui poter affidare questo post. Passeggiando per questa strana città, mi sono sentito come se avessi accanto- nel ruolo collodiano di voce della coscienza -l'Allen Ginsberg visto recentemente nell'ultimo Scorsese. Un saggio che sottolinea l'importanza del recupero della propria comunità, della cura per i nostri amici, per la nostra meditazione e per la nostra bellezza. Però, alla fine, sono tornato a casa e ha vinto il Loner, con quella canzone che tanto ho ascoltato nell'ultimo bimestre. Un brano che racconta di come alcuni studenti in vacanza possano rilassarsi e guardare il sole, elevandosi sopra tutte le bellissime cose fatte e dette. La paura dilagante dell'invecchiare finisce col racchiudere solo un migliaio di stupidi giochi che non abbiamo mai messo da parte. E mentre le vite diventano carriere e il nostro bambino interiore bussa alla porta e urla che vorrebbe uscire da qui, si prendono appunti e ci si accorge che è microbiologicamente impossibile smettere di volersi bene. Buona lettura.
In volo da qualche parte sopra l’Italia.
Ieri ho fatto tardi a
disegnare il biglietto per gli sposi, accompagnato da qualche chiacchiera e una
birra gigante.
Stamani sveglia di buon’ora e partenza per Bologna, dove ci
siamo trovati con Marco e Ila.
L’aereo è un vecchio
bimotore scassato, somiglia a una donazione dell’esercito della salvezza. Mi
ricorda l’episodio de Le comiche 2 in
cui Pozzetto e Paolo Villaggio gestiscono un aerotaxi a Malpensa.
Le hostess
sono appena passate a portare il caffè e io penso che dovremmo essere
riconoscenti a qualche grande spirito che ci sta fornendo l’opportunità di
riunirci in questo modo, sotto lo stesso cielo tutti insieme.
Ancora una volta.
7.
7.
Cari
posteri,
-
o
cari noi che leggeremo queste righe, magari ad una cena per ricordare i tempi
andati -
sarà
necessario, purtroppo, cominciare a leggere da qui dal momento che, nonostante
il medico sia io, Ferru ha scritto in maniera a dir poco vergognosa, tanto che
probabilmente sarà necessario un novello Alan Touring per poter decifrare tutto
quanto. Comunque, siamo in viaggio per Koŝice- destinazione situata in
Slovacchia –per il matrimonio di Andre. Oltre a redigere questo libello di
memorie scritte, Ferru e io abbiamo deciso di girare un video diario per poi
montare un piccolo filmato al nostro ritorno. Dato che non posso smentirmi
nemmeno in vacanza, aggiungerò una nota acida (forse più):
1) abbiamo un aeroplanino da turismo che
regge l’anima coi denti e che ha tutta l’aria di essere stato costruito durante
gli anni ’70. Mi aspettavo di meglio da una compagnia di bandiera che ha
rifiutato due carte prepagate perfettamente funzionanti in quanto non “carte di
credito”.
2) Ci hanno imbarcato i cazzo di
bagagli perché il suddetto aeroplanino ha le cappelliere minuscole. Io li ammazzo. Però ci hanno offerto il cibo.
Dovendo
limitare la lunghezza del diario per questioni di spazio, concludo dicendo:
sarà un weekend memorabile.
M.
M.
Prima abbiamo
incontrato Andre e Danka. Erano giù, da basso, a ultimare i preparativi per la
sala. Lei visibilmente stressata, lui tentava di darsi una calmata e di
mostrarsi padrone della situazione. Lo ha sempre fatto: è un suo tratto che
noto riemergere con piacere in questa occasione. C’è un clima strano qua, non
lo sto capendo.
La camera è piccola ma accogliente, una vera mansarda da
artisti, scrittori, poeti.
Siamo tutti qui. Tutti per loro.
L’emozione è
palpabile come il recupero degli affetti.
7.
7.
22
luglio 2019. Koŝice, aeroporto.
Siamo
dei cani. O, per fluire nel mood internazionale che ha caratterizzato questo
weekend, “we are dogs”. Con “noi” intendo Ferru e io, che non siamo riusciti a
scrivere o- nel caso di Ferru, a scarabocchiare –due righe messe in croce.
Anyway, non è mai troppo tardi. Sono stati tre giorni a dir poco meravigliosi.
Sarò banale e lascerò il lessico ricercato a Ferru, perché ora come ora ho il cuore così gonfio di gioia e la testa così piena di bei ricordi che faccio fatica ad esprimerli al meglio.
Il rito è stato commovente, la festa aperta e divertentissima, la compagnia meravigliosa.
Venerdì sera, dopo aver colonizzato una birreria nel centro di Koŝice (eravamo tipo trenta fra compagni di scuola, colleghi di Andre, amici storici, ecc.), abbiamo avuto tutti uno strano e bellissimo dèjà-vu: sembrava davvero che dodici anni non fossero passati e che fossimo tutti insieme in gita di quinta superiore. È stato piacevole conoscere persone nuove e rivederne di vecchie, ricordare i tempi andati ma anche affacciarsi sul presente, sul lavoro, sulle prospettive. È stato meraviglioso rivedere Maggie e assolutamente inaspettato (davvero, dopo quindici anni!) rivedere Arturo, parlare e scherzare insieme come non fossero mai passati e ci trovassimo, gomito a gomito, su quei banchi così ben conosciuti. Ma la cosa più bella è stata vedere la felicità negli occhi di Andrea, consapevole che i suoi amici avevano preso aerei (qualcuno intercontinentali), affrontati estenuanti viaggi in macchina o viaggi della speranza in Flixbus solo per lui. Perché, come ha detto Maggie, “non esiste un mondo in cui io non vado al matrimonio del Giove”. Questi giorni per molti di noi sono stati un’occasione per riflettere. Riflettere sulla vita, sul significato dell’amicizia, su quanto sia faticoso portare avanti determinati rapporti per colpa delle distanze, degli orari diversi, persino dei fusi differenti. Ma la gioia che danno quattro giorni del genere ripaga tutto, annulla le distanze e tutto ciò che, a trent’anni, si frappone tra ex-compagni di classe che si sono conosciuti a quattordici anni e che a diciannove hanno preso strade diverse.
Anyway, non è mai troppo tardi. Sono stati tre giorni a dir poco meravigliosi.
Sarò banale e lascerò il lessico ricercato a Ferru, perché ora come ora ho il cuore così gonfio di gioia e la testa così piena di bei ricordi che faccio fatica ad esprimerli al meglio.
Il rito è stato commovente, la festa aperta e divertentissima, la compagnia meravigliosa.
Venerdì sera, dopo aver colonizzato una birreria nel centro di Koŝice (eravamo tipo trenta fra compagni di scuola, colleghi di Andre, amici storici, ecc.), abbiamo avuto tutti uno strano e bellissimo dèjà-vu: sembrava davvero che dodici anni non fossero passati e che fossimo tutti insieme in gita di quinta superiore. È stato piacevole conoscere persone nuove e rivederne di vecchie, ricordare i tempi andati ma anche affacciarsi sul presente, sul lavoro, sulle prospettive. È stato meraviglioso rivedere Maggie e assolutamente inaspettato (davvero, dopo quindici anni!) rivedere Arturo, parlare e scherzare insieme come non fossero mai passati e ci trovassimo, gomito a gomito, su quei banchi così ben conosciuti. Ma la cosa più bella è stata vedere la felicità negli occhi di Andrea, consapevole che i suoi amici avevano preso aerei (qualcuno intercontinentali), affrontati estenuanti viaggi in macchina o viaggi della speranza in Flixbus solo per lui. Perché, come ha detto Maggie, “non esiste un mondo in cui io non vado al matrimonio del Giove”. Questi giorni per molti di noi sono stati un’occasione per riflettere. Riflettere sulla vita, sul significato dell’amicizia, su quanto sia faticoso portare avanti determinati rapporti per colpa delle distanze, degli orari diversi, persino dei fusi differenti. Ma la gioia che danno quattro giorni del genere ripaga tutto, annulla le distanze e tutto ciò che, a trent’anni, si frappone tra ex-compagni di classe che si sono conosciuti a quattordici anni e che a diciannove hanno preso strade diverse.
Comunque,
so che tocca a me a fare un po’ di cronaca spicciola per lasciare memoria ai
posteri di questo weekend da leoni (slovacchi). Venerdì sera abbiamo iniziato
alla grande, scolandoci boccali di birra locale, il cui prezzo variava da 1,08€
(la piccola) e 1,60€ (la grande). Si spiega così la presenza quasi costante di
ubriachi molesti (ma non troppo) nel centro città. La cena è stata bellissima,
con brindisi agli sposi che non si contavano e il Miglio che se non mangiava lo
stinco (che pregustava da giorni) pareva morisse da un momento all’altro. Fosse
per gli slovacchi, potresti tranquillamente festeggiare a vodka, ma abbiamo
preferito conservare il fegato per la festa dell’indomani.
Sabato
mattina, giro turistico a Koŝice, con iuna guida supersimpatico (che però ci ha
brontolato perché parlavamo tra noi→school mode, again!), abbiamo visto la
cattedrale, i giardini, la torre adiacente. Pranzo sostanzioso, a base di toast
con una crema al formaggio, cipolle ed erbe e via in hotel a prepararci per la
festa.
Alle
15 in punto, tutti muniti di rosa bianca per la sposa (tradizione slovacca), ci
siamo incamminati verso la chiesa: una carovana colorata ed elegante che ha
inviso Hllàvna, la via principale di Koŝice. Siamo entrati in chiesa e poco
dopo è arrivato Andre: da lì, magone e un pianto continuo, soprattutto quando è
andato all’altare con Mamma Mara, la felicità in persona. Anche quando è
entrata Danka, con il suo vestito semplice e il sorriso come miglior
accessorio, ci siamo commossi. La cerimonia, celebrata con rito greco (Andre mi
aveva spiegato la differenza ma non la ricordo), non è stata brevissima e si
alteravano pezzi in italiano a pezzi in slovacco. È stato carino che ci fosse
anche il sacerdote che ha visto crescere Andre, commosso sinceramente quanto
noi. Andrea ha recitato la promessa in italiano e Danka in slovacco, ed è stato
proprio un bel momento. Finita la messa (e le lacrime) abbiamo fatto al fila
per consegnare la rosa bianca alla sposa e fare la congratulazioni prima di non
tradire le nostre tradizione e fare un bagno di riso agli sposi.
Successivamente la carovana di amici e parenti si è spostata verso la Sala
Baĉikova, dove aveva luogo il ricevimento. Ricevimento che era così
strutturato:
- Aperitivo con: vino → prosecco → vodka.
- Antipasto.
-
Vodka.
-
Primo.
-
Balli
e vodka.
-
Vodka.
-
Secondo.
-
Vodka
e balli.
-
Torta
nuziale.
-
Vodka.
-
Pausa
balli (e vodka).
-
Buffet
con goulash, insalata russa, patate, pieroghi.
Tante bottiglie, ma nessuno di noi era abbastanza lucido per anche solo contarle. La serata è
proseguita tra balli romantici tra Andre e Danka, pantomime recitate in costumi
tradizionali slovacchi (Andre era tipo un pretendente della verginità di
Danka), canti slovacchi e… vodka. Siamo arrivati alla fine di questa splendida
festa, indimenticabile (anche solo per la evidente quantità di alcool
disponibil). A propisito: sono andati in conto 65 litri di vodka per 150
persone. Questo basta. Persino gli organizzatori ci hanno fatto i complimenti
per l’allegria e la riuscita della festa, e Andre e Danka ne erano orgogliosi.
Domenica
abbiamo ciondolato a zonzo per Koŝice prima che un violento temporale si
abbattesse sulla città e regalasse a me, Ferru, Maggie e Federica un piacevole
e sonnacchioso pomeriggio sotto le coperte, tra sonellini ristoratori,
chiacchiere e riflessioni sulla vita. A cena, con le ultime persone rimasto,
abbiamo perseguito la nostra meta cirrotica con altra birra e hamburger, prima
di rientrare in hotel.
Oggi
è lunedì. Siamo sul volo Koŝice-Vienna e io sono felice e tanto grata alla vita
per gli ultimi quattro giorni.